Un bel tacer…

A volte, semplicemente, non si ha nulla da dire. Altre, soprattutto in pieno clima di vacanze, diventa normale e quasi indispensabile voler staccare la spina, interrompere il peso e la prevedibilità di certi ritmi e tentare di sottrarsi ad ogni tipo di routine. Altre ancora, in maniera forse più banale, la voglia di raccontare, commentare o dispensare opinioni e consigli da quattro soldi (i miei intendo) sulla vita in generale lascia spazio al solo desiderio di viverla appieno quella stessa vita, senza avvertire la minima necessità di condividere, rendere pubblico o dare in pasto a chicchessia, nemmeno a quei pochi e fedeli lettori faticosamente conquistati nel tempo, alcun frammento, privato e prezioso, della propria esistenza. Il che in teoria cozzerebbe un po’ con la ragione stessa di possedere un personalissimo e a tratti insensato contenitore virtuale come questo, edificato sul mio solo punto di vista e sugli stralci di una bizzarra quanto ordinaria quotidianità. Ma star qui a spiegare nel dettaglio i motivi del recente, maggiore (e credetemi, non previsto) silenzio mai avvenuto nei quasi quattro anni di storia di questo mio blog, facilmente riassumibili poi in un fatale mix estivo delle tre premesse poc’anzi elencate, distoglierebbe forse troppo dalla parola alla base della riflessione di oggi, quel citato, fondamentale, spesso sottovalutato silenzio. Affaccendati gran parte dell’anno a trovare necessariamente modi e spazi per poter dire, talvolta urlare, la nostra, sempre iperconnessi e dunque pronti a sparare a zero su quella stessa rete che ci aggiorna all’istante su tutti i fatti e i fattacci, pare quasi impossibile oggi coccolare invece l’idea di farsi per un po’ da parte, rallentare presenze e interferenze virtuali, ritagliarsi dei sani e vitali attimi per ritornare al solo piacere di ascoltare e perché no, di ascoltarsi. Voci e situazioni riscoperte durante quest’estate, mai notate prima, al contrario, per distrazione, superficialità, sovraccarico di impegni e di pensieri, ce ne sarebbero in abbondanza. Che le risate di mia nipote, ad esempio, o dei figli dei miei amici, al mare, mentre fanno i tuffi, hanno lo stesso suono vivace e tintinnante di quando da bambini passavamo i pomeriggi ad arrampicarci pericolosamente sugli scogli. Che certe paure infondate, tipo le vertigini, non si placano o svaniscono nel tempo, e risalire a distanza di decenni su di una ruota panoramica non fa altro che risvegliare quella dimenticata sensazione di vuoto improvviso nelle gambe e i medesimi, paralizzanti, brividi nel vedere rimpicciolire a poco a poco la gente. Che nessun pudore o timore del giudizio altrui bloccherà mai il nodo alla gola che ti assale di fronte alla solita vista del tuo artista preferito, neanche quando ti avvicini troppo alla tela, per tentare di scorgere le pennellate, e l’allarme prontamente scattato nel museo fa voltare su di te gli occhi di tutti gli altri turisti. Che regalarsi degli attimi di totale e benefico nulla, tentare di sgombrare la testa ingolfata di preoccupazioni, recuperare fiato, energie, una dimensione vitale più umana e tollerabile rimane forse l’unico vero buon proposito da portarsi in valigia dopo le ferie. Tanto il tempo per tornare a parlare e a scrivere, più o meno a sproposito, quello c’è sempre.

Un compleanno esplosivo…

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Al di là delle lecite ma singolari ragioni, non si può non riconoscerle un tempismo quasi perfetto, tanto da far emergere subito il sospetto che una tale, sorprendente, originale, forse anacronistica, decisione, non sia poi così casuale. Perché il recente e sbalorditivo divieto scattato nella città norvegese di Trondheim (la terza del Paese per estensione e popolazione, non un piccolo villaggio medievale di poche anime strette nella morsa del gelo nordico) di proibire lungo le proprie strade l’affissione di immagini pubblicitarie con modelle desnude, o coperte solo da ridottissimi e sensuali costumi da bagno, cade, guarda caso, proprio a ridosso del 70esimo anniversario dell’invenzione stessa del bikini. Un compleanno importante, che forse non sarebbe passato in sordina, ma che la solerte e strombazzata delibera comunale della cittadina norvegese, intenzionata a combattere la presunta gravità delle ripercussioni sociali dovute a quei corpi perfetti e/o abbondantemente ritoccati, comunque gratuitamente esibiti, ha riportato ancor più sotto i riflettori, sottolineando ancor’oggi il potenziale scandaloso di quell’indumento nato ormai sette decenni fa (proprio come Cher, forse solo più deperibile…ah, auguri Cher). E se occorre pur ammettere che un simile oscurantismo mediatico aveva già colpito in passato le curve mozzafiato della top Eva Herzigova, o, in anni più recenti, proprio a Milano, il celebre fondoschiena di Belén Rodriguez, giudicati allora colpevoli non tanto della possibile diffusione di un’immagine negativa del corpo, quanto di poter causare pericolosi tamponamenti agli automobilisti ragionevolmente distratti da tanta ingigantita beltà, resta il fatto che lo storico due pezzi, lungi dal perdere nel tempo la sua prorompente carica seduttiva, in tutte queste storie di ordinaria censura venga ancora incluso fra i maggiori imputati. Aveva visto giusto dunque Louis Réard, il dimenticato sarto francese (liquidato nella maggior parte dei manuali di storia della moda con due righe di circostanza, meno di quanto in genere spetti all’inglese Mary Quant, inventrice della minigonna) a cui si fa risalire appunto il lancio sul mercato, nel 1946, del primo costume bipartito, a volerlo a tutti i costi ribattezzare Bikini – proprio come l’atollo delle Isole Marshall in cui gli americani effettuavano i loro test nucleari – immaginando così alla perfezione gli effetti di atomico sconquasso che l’indumento avrebbe provocato nel mondo. Ciò che forse Réard non avrebbe potuto prevedere è quanto invece il cinema abbia contribuito negli anni ad elevare al rango di capo iconico la sua preziosa invenzione, grazie agli indimenticabili due pezzi indossati da Brigitte Bardot (foto allegata) nei film che l’hanno consacrata al successo -  come E Dio creò la donna del 1956 – o sulle spiagge di Saint Tropez, passando per la sensualissima Rita Hayworth (non a caso definita l’atomica) o per Ursula Andress (ricordata, nonostante la discreta carriera sul grande schermo, sempre e soltanto per il suo emergere dalle acque in 007 – Licenza di uccidere con un succinto costumino bianco corredato di cinturone e pugnale). Ma se il solo sentir parlare di bikini, più che alle leggendarie scene cinematografiche o ai corpi flessuosi delle grandi star vi fa pensare all’imminente (chissà poi quanto, dati i capricci meteorologici di questa primavera) e detestata prova costume, care amiche, avete di che consolarvi: potete sempre contemplare la possibilità, al contrario di noi maschietti, di ricorrere all’alternativa, certo non ideale per l’abbronzatura ma almeno esistente e più coprente, del costume intero. Noi uomini (che un sondaggio impietoso ci descrive provvisti di addominali scultorei da esibire solo nel meno del 30% dei casi…vale a dire che due esemplari su tre possiedono la pancetta, facciamocene una ragione), costretti a mostrare il nostro ventre non sempre tonico sulle spiagge, possiamo al massimo decidere se tirar su l’elastico di slip o calzoncini vicino all’ombelico, con quell’effetto visivo segato di sole al tramonto, o appena sotto, con risultati più simili a un qualche marsupiale. Sempre che non si decida tutti di trascorrere le vacanze altrove, lontani dal mare, oppure in un paese dalle temperature rigide, che so, ad esempio in Norvegia: lì i fisici statuari da ammirare o invidiare sembrerebbero banditi, anche in città.

Tempi d’estate…

A quelli che “ma che fine hai fatto, sei sparito da settimane, anche dal tuo stesso blog?!” eppure fatichi a ricordare una sola volta in cui si siano prodigati in un commento striminzito, un finto cenno di apprezzamento o perfino un “sì, bravino” di cortesia per una qualsiasi delle tue numerose scemenze scritte. A quelli che “ma perché, tu scrivi? ah, di moda? ah!” e poi passano rapidi a scannerizzarti con lo sguardo per assumere subito quell’espressione di insolito stupore traducibile in “avrò capito bene? ma se è vestito come un mentecatto?” A quelli che immancabilmente ti inondano di messaggi su Whatsapp per aggiornarti sulle condizioni meteorologiche del posto in cui si trovano, sui piatti che stanno fotografando da ogni lato prima di assaggiare, sui loro prossimi, irrinunciabili, acquisti in saldo e non riescono invece mai a digitare un semplice “ciao, come stai?” sulla stessa riga. A quelli che si manifestano sui social solo per condividere i propri fighissimi scatti introdotti da milioni di #cool #party #summer #thepenisonthetable #hofinitoleparoleininglese #peròtifaccioinvidia? ma con tutta probabilità in quel momento si stanno annoiando a morte, lì a testa bassa in disparte a giocherellare con l’amato smartphone. A quelli che ogni occasione è buona per poter piangere miseria e poi sugli stessi social postano quintali di selfie realizzati in pochi giorni ai quattro angoli del mondo e ti viene il dubbio che il Taj Mahal o quei mari tropicali ben visibili dietro ai loro faccini sorridenti forse siano solo degli sfondi posticci appesi alle pareti di casa. A quelli che dalle loro rubriche sentenzieranno il prepotente ritorno di moda per questa stagione del giallo pannocchia, della frangetta scalata da un lato, delle unghie dipinte con miniature di swarovski, il tutto con quel tono solenne poi, spropositato perfino per la più autorevole delle riviste scientifiche, figuriamoci per dei giornalini adatti in molti casi ad incartare il pesce al mercato. A quelli che “tu non hai figli, non puoi capire che stress sia d’estate portarli al mare, tra i giocattoli, la merenda, la sabbia, le urla per farli uscire dall’acqua” e a te viene crudelmente da pensare che se il loro maggiore desiderio fosse stato godere di lunghi periodi di relax avrebbero dovuto fare piuttosto un abbonamento annuale ad una spa e non un bambino. A quelli che “tu non hai capelli, non puoi capire che stress siano d’estate, fra il caldo, la salsedine, le docce giornaliere, la piastra” e a te viene crudelmente da invocare una qualsiasi divinità che possa darti subito ascolto e renderli così calvi all’istante, lì davanti ai tuoi occhi, in modo da poter aggiungere sarcastico di fronte al loro sgomento “un gran sollievo adesso, eh?”. A quelli che da creature caritatevoli condividono ovunque gli appelli per la realizzazione del monumento in bronzo al cane randagio cittadino o si commuovono ad ogni video di gattino dondolante dal lampadario del salotto, poi però sostengono che sia altrettanto legittimo e sacrosanto inneggiare a ruspe, maceti, distruzioni di massa programmate ai danni di altri esseri umani. A quelli che la colpa è sempre e soltanto altrui se non vengono mai ascoltati, compresi, trattati con la giusta considerazione e mai una volta che sorga loro il dubbio di non essere abbastanza originali o interessanti, perché accusare il prossimo della propria inadeguatezza è più comodo e veloce che fare della sana e necessaria autocritica. E soprattutto a me, che grossomodo dalla fine di Febbraio non faccio altro che sospirare contando ad una ad una le ore interminabili che mi separano dall’inizio dell’estate, e quando questa finalmente bussa alle porte mi ritrovo sempre troppo avvilito, stremato, scarico, non solo per gioirne appieno come vorrei ma anche per riuscire a confezionare ad un buon ritmo qualcosa di vagamente appetibile o anche solo grammaticalmente corretto sul mio stesso blog. Che la bella stagione appena iniziata ci conceda di ritrovare parte delle energie indispensabili per pensare, dire, scrivere cose di gran lunga più intelligenti o sensate. O, in alternativa, pile di buone letture o di sudoku facilitati con cui sgombrare la testa sotto l’ombrellone per fare il dovuto spazio a idee ed opinioni migliori. Che sia per tutti una magnifica estate.

Istanti con…gelati!

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La sabbia sotto i piedì è così bollente da costringermi ad eseguire una coreografia di piccoli e ridicoli balzelli e a maledire bisbigliando lo sciagurato momento in cui ho deciso di lasciare i miei, adesso agognati, sandali vicino l’ombrellone (“tanto devo solo arrivare al bar” pensavo, ingenuamente). La mia amica Valentina, più avveduta, mi precede a passi svelti con le sue ciabattine e il suo nuovo, esplosivo, bikini giallo zafferano, ridacchiando e raccogliendo, quasi senza accorgersene, gli sguardi ammirati di tanti uomini e quelli traboccanti di invidia delle rispettive donne (causa anche di un paio di gomitate punitive volate tra moglie e marito da una sdraio all’altra). In coda ci segue il mio amore, che ad ogni bella stagione mi fa accrescere il sospetto di essere stato, nella sua vita precedente, una qualche creatura degli abissi o un abitante della mitica Atlantide, tale e sconfinata è la sua passione per il mare, visto che le uniche occasioni in cui a fatica riesco a fargli abbandonare l’acqua dopo ore e ore di bagno sono quelle in cui dalla spiaggia vado sbracciandomi per segnalare il giunto momento per una pausa pranzo e/o caffé/merenda/aperitivo (annuncio che in genere mi ritrovo ad eseguire dalla riva in sincrono con una o più mamme che tentano di recuperare allo stesso modo dalle onde il figlio undicenne). Al bancone dei gelati il barista, un giovanotto troppo abbrustolito dal sole e sul cui viso una lametta pare ormai latitare da troppo tempo (questa convinzione che basti solo un po’ di barba per essere automaticamente più belli o sexy da dove vi arriva?) sembra ignorare le nostre richieste, tutto intento com’è a pavoneggiarsi e a gigioneggiare con due turiste del noto e riconoscibile genere “gatta morta in vacanza” (“guarda che stanno solo tentando di farsi offrire da bere” mi verrebbe da suggerirgli). Valentina prova allora a ripiegare sul distributore automatico di bibite e snack lì vicino, ma vuoi per la sua incorreggibile svagatezza, vuoi per quell’attimo di stordimento dovuto al caldo soffocante, al posto del comprensibile desiderio di una bottiglietta di Coca – Cola ecco volare giù dalle spirali metalliche che separano le varie confezioni un insulso pacchettino di Ringo, cibo che non so a chi mai potrebbe venire in mente di consumare sulla spiaggia, date le scarse proprietà rinfrescanti (“accanto ci sarebbero anche dei taralli, mica penserai di prendere anche quelli?”). Ed ecco lì, sull’imprescindibile tabellone metallico dei gelati, quello che illustra scientificamente tutte le tipologie presenti e i loro singoli prezzi, quello che ogni sacrosanto stabilimento lascia ogni anno fuori a sbiadire alla luce del sole e che a fine stagione viene riempito di correzioni a pennarello, delle drammatiche “X” per indicare i cornetti o i ghiaccioli non più disponibili, troneggiare il Magnum ideato e disegnato in edizione limitata nientepopodimenoche da Dolce&Gabbana per il 25esimo anniversario dello stesso prodotto (foto allegata). In realtà, nonostante sia la prima volta che lo noti in un luogo pubblico, il gelato griffato, al gusto di vaniglia e pistacchio e ricoperto di cioccolato bianco, come mi aveva comunicato solerte una newsletter giunta qualche mese fa per e.mail (e probabilmente cestinata) si trova in commercio già dallo scorso Giugno in un apposito ed elaboratissimo astuccio da conservare e collezionare. Inevitabili a quel punto le seguenti domande sollevate dai miei accompagnatori: “L’hai visto il Magnum di Dolce&Gabbana?” “Lo prendiamo?” “Ma come mai lo hanno disegnato loro?” “Forse perché avranno iniziato negli stessi anni?” “Ma l’hai vista carina la loro prossima collezione invernale?” “Ale che ci dici?”. Niente. Buio. Non una data, un abito, un accidenti di indizio che mi sia venuto in aiuto in quell’istante. Non un ricordo, un appiglio, una parvenza di risposta pseudoprofessionale che sia riuscito a fornire loro, all’altezza del mio strombazzato status, di chi si vanta cioè di scrivere di moda da anni. La sola giustificazione alla mia momentanea amnesia risiede nel fatto che quando mi trovo in vacanza come adesso, ed era da tempo che non mi godevo un Agosto di così completa e sfacciata nullafacenza, stacco di netto con la vita di tutti i giorni, accantono passioni e incombenze, mi limito a discutere di mare, feste sulla spiaggia, cene e vari divertimenti, dimenticandomi spesso di chiamare amici e genitori (che mi subissano di sms del tipo “sei vivo?”) come delle più elementari e consuete informazioni con cui sono solito imbattermi per lavoro o per piacere. Esattamente come di possedere un blog tutto mio: non lo stavo aggiornando da circa una settimana, ma perché non mi avete detto niente? (Ndr. Dolce & Gabbana hanno cominciato nel 1985. La loro prossima collezione invernale femminile mischia la consueta ispirazione alla Sicilia ad un’atmosfera da vecchia fiaba. L’ho riguardato appositamente per voi. Sotto l’ombrellone).

Ti lascio una canzone

Raffaella Fico – Rush – YouTube.

Nel clima generale di delusione cocente che ha avvolto la nazione dopo le sonore batoste sul campo e la conseguente e fulminea eliminazione degli Azzurri dai Mondiali del Brasile ancora in corso (che, esattamente come l’edizione di 4 anni fa in Sudafrica, ci dovremmo rassegnare a seguire da spettatori passivi, simpatizzando per un’altra formazione, forse la prima che riuscirà a vendicare la nostra sconfitta con l’Uruguay), impossibile non incappare nel vizio ormai diffusissimo di scovare a tutti i costi un capro espiatorio da incolpare per l’inaspettata figuraccia calcistica. Nella fattispecie, mi pare che il severo popolo italiano, composto da tifosi più o meno occasionali – i quali, si sa, quando si tratta di giocare allo “scaricabarile” dimostrano più abilità che nell’autoeleggersi ct per tutta la durata del Campionato – abbia universalmente individuato il colpevole di turno in un personaggio che, in fondo, nonostante la bravura spesso dimostrata in passato, non si è mai così distinto per simpatia e disponibilità, sicché diventa senza dubbio più facile imputargli tutte le possibili pecche o mancanze. Ovviamente va riconosciuto anche che il criticatissimo e controverso Mario Balotelli (perché è di lui che stiamo parlando, da giorni, e non solo qui) sin dai minuti immediatamente successivi al fischio finale dell’ultima, penosa, partita, ci sta mettendo davvero del suo per peggiorare in ogni modo la sua stima già compromessa, stima che comunque molti connazionali avevano dimostrato di nutrire nei suoi confronti, sperticandosi in migliaia di parole in lode (naturalmente già svanite come bolle di sapone) all’indomani della sua rete messa a segno contro l’Inghiliterra. E va bene, il fanciullo sarà pure una testa calda (vorrei vedere voi, a quell’età, con lo stesso cospicuo conto corrente), passerà più tempo a twittare o a postare foto sui social che non ad allenarsi (ma la dipendenza compulsiva da 140 caratteri mi pare appannaggio di molti altri personaggi pubblici, e con cariche decisamente più importanti), rilascerà dichiarazioni alla stampa talvolta velenose o inopportune (e chi non lo fa, in questo Paese?) ma da qui alla pubblica crocifissione mediatica a cui stiamo assistendo in questi giorni ce ne corre, ecco. Chi invece temevamo (o forse, ci auguravamo, potrebbe aggiungere qualche maligno) scomparisse insieme alla fine della burrascosa e strombazzata relazione sentimentale proprio con il nostro Supermario è la sua storica e indubbiamente bellissima ex Raffaella Fico: ex Grande Fratello, ex starlette da (piuttosto venduto, va precisato) calendario, ex prezzemolina tv, non proprio valletta diciamo showgirl-con-aspirazioni-mai-del-tutto-realizzate da conduttrice, pensavamo che la sua altalenante carriera nello spettacolo, forte di qualche colpo azzeccato qua e là ma non ancora veramente esplosa, finisse con lo spegnersi dei riflettori sulla sua storia con il calciatore (e ringraziatemi perché almeno qui vi risparmio le noiose vicissitudini sul riconoscimento della progenie, con cui fior di giornali e di tg sono andati avanti per mesi). Ebbene, proprio mentre la fama del suo amore ormai archiviato sta andando drammaticamente in picchiata, la splendida Raffaella azzarda invece il rilancio, su un terreno, tra l’altro, mai sperimentato, quello musicale: il suo primo singolo Rush (video allegato), accompagnato da performances inequivocabilmente sexy, con contorno di gambe scultoree e chilometriche in bella vista e mises a dir poco mozzafiato (da spot per prodotti anticellulite più che da tigre da palcoscenico, ma la strada per diventare Tina Turner è ancora lunga) rischia sul serio di essere annoverato tra i prossimi, onnipresenti, tormentoni estivi. E, dura da ammettere, di risultare perfino più piacevole alle orecchie delle solite, inutili, infinite polemiche che si sollevano ad ogni intervista o tweet del suo ex.