Istanti con…gelati!

3809206

La sabbia sotto i piedì è così bollente da costringermi ad eseguire una coreografia di piccoli e ridicoli balzelli e a maledire bisbigliando lo sciagurato momento in cui ho deciso di lasciare i miei, adesso agognati, sandali vicino l’ombrellone (“tanto devo solo arrivare al bar” pensavo, ingenuamente). La mia amica Valentina, più avveduta, mi precede a passi svelti con le sue ciabattine e il suo nuovo, esplosivo, bikini giallo zafferano, ridacchiando e raccogliendo, quasi senza accorgersene, gli sguardi ammirati di tanti uomini e quelli traboccanti di invidia delle rispettive donne (causa anche di un paio di gomitate punitive volate tra moglie e marito da una sdraio all’altra). In coda ci segue il mio amore, che ad ogni bella stagione mi fa accrescere il sospetto di essere stato, nella sua vita precedente, una qualche creatura degli abissi o un abitante della mitica Atlantide, tale e sconfinata è la sua passione per il mare, visto che le uniche occasioni in cui a fatica riesco a fargli abbandonare l’acqua dopo ore e ore di bagno sono quelle in cui dalla spiaggia vado sbracciandomi per segnalare il giunto momento per una pausa pranzo e/o caffé/merenda/aperitivo (annuncio che in genere mi ritrovo ad eseguire dalla riva in sincrono con una o più mamme che tentano di recuperare allo stesso modo dalle onde il figlio undicenne). Al bancone dei gelati il barista, un giovanotto troppo abbrustolito dal sole e sul cui viso una lametta pare ormai latitare da troppo tempo (questa convinzione che basti solo un po’ di barba per essere automaticamente più belli o sexy da dove vi arriva?) sembra ignorare le nostre richieste, tutto intento com’è a pavoneggiarsi e a gigioneggiare con due turiste del noto e riconoscibile genere “gatta morta in vacanza” (“guarda che stanno solo tentando di farsi offrire da bere” mi verrebbe da suggerirgli). Valentina prova allora a ripiegare sul distributore automatico di bibite e snack lì vicino, ma vuoi per la sua incorreggibile svagatezza, vuoi per quell’attimo di stordimento dovuto al caldo soffocante, al posto del comprensibile desiderio di una bottiglietta di Coca – Cola ecco volare giù dalle spirali metalliche che separano le varie confezioni un insulso pacchettino di Ringo, cibo che non so a chi mai potrebbe venire in mente di consumare sulla spiaggia, date le scarse proprietà rinfrescanti (“accanto ci sarebbero anche dei taralli, mica penserai di prendere anche quelli?”). Ed ecco lì, sull’imprescindibile tabellone metallico dei gelati, quello che illustra scientificamente tutte le tipologie presenti e i loro singoli prezzi, quello che ogni sacrosanto stabilimento lascia ogni anno fuori a sbiadire alla luce del sole e che a fine stagione viene riempito di correzioni a pennarello, delle drammatiche “X” per indicare i cornetti o i ghiaccioli non più disponibili, troneggiare il Magnum ideato e disegnato in edizione limitata nientepopodimenoche da Dolce&Gabbana per il 25esimo anniversario dello stesso prodotto (foto allegata). In realtà, nonostante sia la prima volta che lo noti in un luogo pubblico, il gelato griffato, al gusto di vaniglia e pistacchio e ricoperto di cioccolato bianco, come mi aveva comunicato solerte una newsletter giunta qualche mese fa per e.mail (e probabilmente cestinata) si trova in commercio già dallo scorso Giugno in un apposito ed elaboratissimo astuccio da conservare e collezionare. Inevitabili a quel punto le seguenti domande sollevate dai miei accompagnatori: “L’hai visto il Magnum di Dolce&Gabbana?” “Lo prendiamo?” “Ma come mai lo hanno disegnato loro?” “Forse perché avranno iniziato negli stessi anni?” “Ma l’hai vista carina la loro prossima collezione invernale?” “Ale che ci dici?”. Niente. Buio. Non una data, un abito, un accidenti di indizio che mi sia venuto in aiuto in quell’istante. Non un ricordo, un appiglio, una parvenza di risposta pseudoprofessionale che sia riuscito a fornire loro, all’altezza del mio strombazzato status, di chi si vanta cioè di scrivere di moda da anni. La sola giustificazione alla mia momentanea amnesia risiede nel fatto che quando mi trovo in vacanza come adesso, ed era da tempo che non mi godevo un Agosto di così completa e sfacciata nullafacenza, stacco di netto con la vita di tutti i giorni, accantono passioni e incombenze, mi limito a discutere di mare, feste sulla spiaggia, cene e vari divertimenti, dimenticandomi spesso di chiamare amici e genitori (che mi subissano di sms del tipo “sei vivo?”) come delle più elementari e consuete informazioni con cui sono solito imbattermi per lavoro o per piacere. Esattamente come di possedere un blog tutto mio: non lo stavo aggiornando da circa una settimana, ma perché non mi avete detto niente? (Ndr. Dolce & Gabbana hanno cominciato nel 1985. La loro prossima collezione invernale femminile mischia la consueta ispirazione alla Sicilia ad un’atmosfera da vecchia fiaba. L’ho riguardato appositamente per voi. Sotto l’ombrellone).

If we took a holiday

Vi confesso che sto cominciando seriamente a preoccuparmi. Perché, per carità, costante e affidabile sarebbero forse gli aggettivi meno adatti alla frequenza con cui da un anno e mezzo, ormai, compaio su questo blog, fra la consueta insensatezza e la ridicolaggine che contraddistinguono la maggior parte dei miei stessi post. Però poi, in genere, era sufficiente una notizia, anche assurda, letta distrattamente sul web o sul giornale sbandierato dal vicino occasionale in bus, oppure un incontro casuale o un appuntamento concordato da tempo, di quelli a cui vai malvolentieri perché ne annusi la barbosità in anticipo, e che poi invece si rivelano, a sorpresa, piacevoli e scoppiettanti, ed ecco che la mia testolina già si attivava per selezionare e rielaborare tutte le informazioni, le frasi, i dettagli, che sarebbero serviti da cornice o addirittura da contenuto per il mio prossimo, irresistibile (non sempre), forse illogico (più spesso), racconto. Così, tra alti e bassi, per mesi, ricevendo inaspettati quanto graditi apprezzamenti, talvolta qualche critica, rimanendo spiazzato e orgogliosamente stupito dal numero di visitatori e di letture sempre in ascesa (soltanto lo scorso Marzo il nuovo record) sperando soprattutto di trasformare spunti e idee in qualcosa di leggibile, attraente, originale, tentando di curare, per quanto possibile, forma e sostanza di ogni intervento e finendo invece per fare letteralmente a pugni con l’italiano, lingua difficilissima da padroneggiare. D’un tratto, gli scorsi giorni, il black out. L’apatia, la svogliatezza, perfino la tentazione di mollare queste pagine, senza rimpianti, al vuoto candore del proprio destino, con il cervello che si fa impermeabile ai, pur esistenti, input esterni da cui poter trarre comunque ispirazione e neppure la minima, ragionevole o disperata, reazione. Blocco creativo? Bah. Ciclica crisi stagionale? Forse. Torpore misto a spossatezza, effetti di un ingiustificato e deleterio relax giunto di colpo dopo un inverno di affanni, impegni, speranze e tentennamenti, ecco la formula che più si avvicina all’intera questione. Insomma, con la testa chiaramente finita in panne, o in una modalità simile a una forzosa e anticipata vacanza, non rimaneva che fare una sola cosa: seguirla, ovunque fosse andata.

Poco lontano, per fortuna, nonostante l’esplicita voglia (per niente assecondata dalle finanze) di un viaggio nomade e rigenerante, meglio se dall’altro lato del pianeta, per il momento (ma solo per il momento) rimandato e sostituito da una più fattibile e altrettanta necessaria parentesi di puro relax in riva a quel mare dove sono nato e cresciuto. Così, rinviato il rinviabile, fuggito da responsabilità e scadenze, avvertite le (poche) persone che vedo e sento abitualmente, forse allarmate tutte le altre, lanciati a caso qualche straccio e tre libri in valigia, a poco più di due ore dalla mia repentina e salvifica decisione ero già in spiaggia. Dove tuttora vado trascorrendo gran parte dei miei pomeriggi: ridotte al minimo le interferenze tecnologiche, quasi inesistenti internet e cellulare, impiego invece molto più volentieri il mio tempo in lunghe e distensive passeggiate, leggendo, guardando stordito l’orizzonte o rabbrividendo al contatto con l’acqua gelata, regalando soprattutto alla mia mente quei preziosi e rarissimi attimi di totale e benefico nulla. Ed è stupendo: sottoposti gran parte dell’anno a ritmi sfiancanti e serrati, abituati a infarcire le nostre giornate di ogni sorta di impegni (lavoro, studio, hobby vari ed eventuali) per essere ed apparire operativi, produttivi, energici ventiquattro ore al giorno, giudichiamo peccato mortale o un assoluto e nocivo spreco di risorse abbandonarsi invece al normalissimo e comprensibile desiderio di una pausa, da tutto e da tutti. Senza mai pensare, al contrario, che il tempo che si sceglie consapevolmente di perdere non è mai davvero perso, ma assume piuttosto le sembianze di un insolito e apprezzato dono per la nostra anima. Dunque, fuori forma, fuori stagione, mi sono concesso un breve anticipo di estate, graziato dal clima che mi ha già arrostito le braccia e lasciato la prima impronta degli occhiali sul viso. Con la complicità degli amici: quelli di una vita, quelli che rivedi dopo mesi e ti sembra di aver salutato cinque minuti prima, quelli che potrebbero un domani ricattarti con le tue nefandezze, che conoscono bene, o con le tue terribili foto da adolescente. Quelli con cui puoi permetterti di ridere fino alle lacrime se ti raccontano le loro recenti disavventure sentimentali o professionali, senza mai il rischio di apparire insensibile ai loro occhi. Quelli sinceri fino al midollo, che hanno già rimpiazzato il loro “ma che ti è successo? Hai una faccia!” di questi primi giorni con un “certo che l’aria di mare ti fa proprio bene”. Ed hanno, al solito, perfettamente ragione.