Era il 2013…

▶ Daft Punk – Get Lucky (Official Audio) ft. Pharrell Williams – YouTube.

A differenza del Natale, che ogni anno mi piomba addosso come un meteorite, lasciandomi stordito nonché arricchito di qualche regalo riciclato, chilo o herpes labiale di troppo, nutro per il Capodanno, per il suo eccitante e febbrile clima di attesa, condito di programmi incerti, countdown per il brindisi, auguri urlati e fuochi d’artificio, un’adorazione sconfinata. Tanto per fare della psicologia spicciola, credo che ciò sia dovuto soprattutto all’ansia di mettere da qualche parte un punto per chiudere un vecchio capitolo e cominciarne finalmente uno nuovo, di riuscire a guardare al futuro come sede di altre e più brillanti opportunità, di lasciarsi alle spalle passi falsi e intoppi che hanno caratterizzato il cammino appena compiuto, fiduciosi che la strada d’ora in poi sarà più sgombra o agevole. Il nuovo anno alle porte trascina immancabilmente con sé l’attesa per giorni e occasioni memorabili, ci riveste dell’illusione che difficoltà e ostacoli siano ormai acqua passata, ci coccola, per qualche giorno, con quell’inspiegabile certezza di poter fare spazio nella nostra vita a milioni di nuovi progetti, anche i più assurdi o complicati (ad esempio la dieta), sicuri che tutto sia realizzabile. Quando poi, diciamocelo, basta lasciar trascorrere la prima settimana di Gennaio per renderci conto che nulla in realtà è così cambiato, che i buoni propositi sono solo parole da inserire in liste già stracciate, che la nostra vita, imperfetta ma tutto sommato accettabile, è esattamente la stessa dell’anno precedente. Non preoccupatevi, avete davanti 365 giorni per deprimervi a dovere, e se fra oggi e domani, ma facciamo anche fin verso il 4 o il 5 del mese prossimo, siete invasi come me da un insensato delirio di onnipotenza e dalla frenesia di poter rivoluzionare tutta la vostra esistenza, godeteveli, non è mai detto che stavolta non portino i loro frutti. Detto questo, per siglare al meglio sul blog (oddio, spero) l’anno che sta per lasciarci ho pensato bene di riproporvi una formula che in un vecchio post aveva riscosso un enorme e inaspettato successo, e che adesso si ripresenta più adatta che mai a ripercorrere in parte il nostro 2013 insieme: un bel test (quanto vi ho fatto felici, eh?). Approfittando di queste ultime righe per farvi intanto i miei migliori auguri di un 2014 più sereno che mai, con la speranza di ritrovarvi tutti di nuovo qui l’anno prossimo, anche di più (e non preoccupatevi per un’eventuale nuova sparizione del blogger, sarei in vacanza anch’io).

Test: Conosci il 2013?

1) Qual è, secondo la rivista Rolling Stones, la migliore canzone dell’anno che sta per finire (video allegato)?  A) Get Lucky dei Daft Punk   B) Guarda che c’è scritto all’inizio del post  C) Non so/non ricordo/mi fa fatica scorrere la pagina

2) A Febbraio si tengono in Italia le elezioni politiche. Qual è la parola che ricorre più spesso per definire il drammatico risultato: A) Ingovernabilità   B) Mapporcatroia   C) Non so/non ricordo/ forse Silvio

3) A Marzo viene eletto il nuovo papa Francesco. Quanto era durato però il pontificato del suo predecessore Benedetto XVI (ancora in vita)?  A) 8 anni   B) Benedetto chi?   C) Non so/non ricordo/ma non si chiamava Wojtyla?

4) A Maggio il calciatore David Beckham annuncia il suo ritiro. Come si chiamano i suoi 4 figli avuti dalla ex – Spice Girl Victoria Adams?  A) Harper, Brooklyn, Romeo, Cruz  B) Mel C., Mel B., Emma, Geri  C) Non so/non ricordo/ H&M?

5) A Novembre New York elegge il suo nuovo sindaco di origini italiane. Chi è?  A) Bill De Blasio  B) Quello con il figlio dalla cesta immensa di capelli  C) Non so/non  ricordo/ John Frusciante?

Com’è andata? Avete indovinato qualcosa? Non vi aspettavate mica di trovare pure la descrizione di un profilo serio dopo la sconclusionatezza di un test del genere, vero? Ancora auguri.

A Natale puoi…

▶ Bridget Jones Diary – Renée Zellweger, Colin Firth Reindeer Christmas Jumper OFFICIAL HD VIDEO – YouTube.

Non mi venite poi a fare i pignoli puntualizzando che il seguente post è stato probabilmente inserito nella categoria sbagliata, cioè “moDa”. Primo, qui c’è solo una persona, cioè il sottoscritto, deputata a sistemare le cretinate che scrive dove meglio crede, e se una categoria mi rimane alla fine un po’ sguarnita, è bene rimpolparla di contenuti. Secondo, il primo consiglio che andrà a comporre l’imminente lista di accorgimenti e strategie per affrontare la giornata di domani (è Natale, lo ricordavate, vero?), un modesto ma collaudato elenco di istruzioni finalizzate al “come sopravvivere al 25 Dicembre”, riguarda proprio l’abbigliamento, se non altro per la funzione spesso “catartica” dei capi che scegliamo, a cui affidiamo il compito di tradurre il nostro (pessimo) umore. Le prossime righe saranno perciò volte a illustrare pochi, semplici mezzi per poter neutralizzare le piccole e grandi scocciature di cui è costellato ogni santo Natale, secondo modalità ovviamente estranee a un’ipotetica persona di classe o buongusto, che d’altronde non si sognerebbe mai di seguire alla lettera i miei personali consigli (come tutto il mio blog, del resto). Bene, cominciamo:

1) Siate ridicoli: sì, avete capito bene. Indossate pure quel terribile maglione di lana tutto decorato con i cristalli di neve o il disegno di una renna dalle corna ramificate all’infinito, proprio come Mark Darcy/Colin Firth nel diario di Bridget Jones (video allegato). Tanto non c’è scampo: nessuno è immune dal regalo d’abbigliamento kitsch, che vogliate oppure no vi ritroverete comunque a scartare un paio di guanti con le dita a forma di faccina, una sciarpa simile a un animale morto o un’insalata troppo rigogliosa, un cappello fluorescente pieno di trecce o nappe. Siate superiori, ironici, coraggiosi: rivestitevi tranquillamente di tutte le brutture ricevute, e vi approprierete anche di un altro spirito, elegante no di certo, ma di sicuro più divertito.

2) Siate lenti: soprattutto nei preparativi personali, impiegate ore per eventuali depilazioni, rasature, trucco, parrucco, e abbondante profumazione. Tutto il tempo che spenderete nella cura di voi stessi, del vostro aspetto (che, a Natale, deve essere impeccabile, per far schiattare d’invidia chi vedete solo una volta all’anno per le feste) è tutto tempo risparmiato per la noiosissima parentesi “scambio di auguri e di regali”, che diventerà più veloce che mai (“sai, devo proprio andare, ho fatto tardi stamani” è una scusa che funziona sempre. Poi bacetto al volo, e scia di profumo da lasciare, rigorosamente.) Allenatevi inoltre a ripetere allo specchio “Beeeneee” con un sorriso convincente e naturale. Tra tutti i parenti, amici, ex – conoscenti che incontrerete – perché, tanto, a Natale nessuno è evitabile – salterà fuori senza dubbio la domanda che non vorreste mai sentirvi rivolgere in questo periodo (del tipo “e l’amore/il lavoro/la famiglia e/o la casa, dimmi, come va?”), a cui occorre replicare per forza con un entusiasmo inesistente, senza far trasparire dal volto imbarazzo o disagio. Ecco dunque aprirsi il collegamento con la terza regola che è…

3) Siate bugiardi. Sfacciatamente. Tanto non è mica inconciliabile con il classico “tutti più buoni”. Vi consiglio solo di mentire, come ho fatto ad esempio poco fa per non farvi beccare in contropiede dai quesiti più inopportuni. Oppure con chi si presenterà – perché, statene pur certi, succederà anche a voi - corredato di regalo costosissimo o realizzato interamente con le sue mani (anche il pacchetto, e ci terrà a dirvelo) e voi non ne ricordavate neanche l’esistenza sulla faccia della terra. Inutile rimediare, con questo genere di persone, con un pensiero last minute, da comprare dove, poi, la figuraccia ormai è andata e ogni rattoppo sarebbe superfluo. Per uscirne basta esordire candidamente con “ma come, ci eravamo ripromessi niente regali quest’anno, solo beneficienza (citate anche qualche ONLUS, se ne ricordate)” e perlomeno non sembrerete dei mentecatti o avrete comunque insinuato il dubbio nel vostro interlocutore che la sua memoria stia cominciando a fare cilecca. Se tutto questo non dovesse bastare, ultima e più importante regola

4) Siate ubriachi: niente fa trascorrere più velocemente il Natale come un doppio aperitivo consumato già dal mattino presto. Fidatevi. E tanti auguri.

La prima candelina

“Sembra soltanto ieri” non mi pare l’incipit adeguato. Innanzitutto perché sarebbe di un’evidente e mostruosa banalità, caratteristica che in questo primo anno da blogger ho cercato di rifuggire il più possibile (non sempre riuscendoci, a dire il vero). In secondo luogo perché, dal 19 Dicembre 2012, data memorabile che ha visto nascere questo personalissimo e strampalato progetto, a me non sembra affatto trascorso soltanto un giorno, ma una vita intera. Anzi, vi dirò di più, a volte ho l’impressione che nella mia vita recente non abbia fatto altro: perché scrivere qui sopra per dodici lunghi mesi (con una frequenza bislacca, lo so, alternata a brevi fughe e momenti di piattezza) affidare ai miei primi 120 post (120 esatti) i pensieri, le emozioni e le vicende più varie e bizzarre succedutesi in questo anno, trovare il tempo di leggere e commentare (e apprezzare) le vostre risposte, è diventato molto di più che un piacevole appuntamento, un vero e proprio impegno continuo e gratificante, quasi un chiodo fisso. E sono io il primo a sorprendermi di aver resistito un anno, perché da persona incostante, discontinua nelle proprie passioni, perennemente di corsa dietro a fuochi di paglia, avevo aperto questo spazio online senza pensare minimamente quanto e come sarei andato avanti, se avrei trovato lo stimolo e le energie per farlo, se la delusione, la pigrizia, il tran tran quotidiano avrebbero definitivamente arrestato la mie velleità di tuttologo da strapazzo. Fatto sta che non è successo (e non saprei dire se sia un bene o male) e oggi, a 365 giorni esatti dalla pubblicazione di quel primo post che avevo scritto in pochi minuti e che aveva già caratterizzato come insensata valvola di sfogo il volto del mio blog, rimango deciso più che mai a proseguire. Merito (o colpa, se vogliamo) dei quasi 11.000 diversi utenti che hanno deciso, spinti chissà da quale discutibile impulso, di seguire, più o meno costantemente, i miei sproloqui virtuali e le mie, assai frivole, considerazioni: una folla affezionata ed eterogenea (a tratti masochista), un numero esorbitante di lettori che un anno fa non avrei neanche lontanamente immaginato di raggiungere, e che ci tengo a ringraziare con tutto il cuore (e che da oggi può continuare anche a seguirmi sul mio nuovo account Twitter, @AleTempiGuasti, sempre che riesca a capire come funzioni).

Permettetemi perciò ancora di annoiarvi con degli ulteriori, doverosi, ringraziamenti. Grazie al mio pazientissimo amore, che si irrita solo a sentirsi definirsi tale su questo blog e che troppo spesso, a suo avviso, chiamo in causa nei miei racconti (e che si è degnato di manifestarsi solo in un paio di striminziti commenti). Grazie alla mia famiglia, i miei genitori e mia sorella, che mi offrono di frequente, inconsapevolmente, materiale prezioso a cui attingere per il contenuto dei miei post. Grazie a Valentina, insostituibile e fondamentale supporto tecnico nella gestione pratica di questo blog, con cui troppe volte mi sono scontrato. Grazie a Carla e massiva006, i miei commentatori più fedeli, che, ci tengo a chiarire, non ricevono alcun compenso per l’assiduità dei loro interventi. Grazie a Giuseppe che mi scrive subito dopo la pubblicazione di ogni post segnalandomi errori (anche grammaticali) e refusi e mi evita così la figuraccia dell’ignorante. Grazie a Claudia, che è comparsa in ben tre dei miei diversi pezzi, sintomo preoccupante che la nostra frequentazione sia diventata un’amicizia a tutti gli effetti. Grazie a Serena, Loredana, Giulia, Annarita e Sara, che condividono con una rapidità da guinness i link del mio blog che vado spargendo come volantini su ogni social a cui sono iscritto. Grazie a Silvia, alias lascottotour, che è l’unica a cui abbia censurato alcuni commenti (e sai bene il perché). Grazie ad Andrea, che sua moglie Chiara obbliga a leggere questa pagina ad ogni nuovo aggiornamento (anzi, forse sarebbe meglio ringraziare Chiara). Grazie a Caterina, che costringe i suoi studenti (in cambio di qualcosa?) a votarmi nel concorso di Grazia.it a cui sono iscritto. Grazie ad Ilaria, che quando va in vacanza, senza avere internet, si stampa in anticipo i miei post per poi poterli leggere in tranquillità (no, dico, ti rendi conto?). Grazie ad Antonino, che tenta, invano, di convincermi a girare dei video, perché nei miei scritti teme che io possa apparire più presuntuoso che nella realtà. Grazie a Gabriella, a cui va il premio “reazione inaspettata” per aver un giorno voltato le spalle e abbandonato il pc dopo la lettura di un mio post. Grazie a Martina, che so esporsi con difficoltà qui sopra, ma che non rinuncia comunque a farlo. Grazie a Chiara, Simona e Paola per i loro complimenti e le loro affettuose e.mail. Grazie a Roberto, che avevo salutato con la promessa che avremmo prima o poi collaborato, ma che l’impegno, sempre crescente, di questo blog, ce l’ha, al momento, impedito. Grazie ad Adriana, Daniele, Elena, Eleonora, Enrica, Fabiana, France, Fruffrù, Monica, Raffaele, Stefano, Viola e tutti gli altri miei commentatori, qualcuno dei quali avrò sicuramente dimenticato e che qui sotto scriverà furibondo “non m’hai ringraziato!”. Grazie a quanti, durante tutto quest’anno, ho conosciuto, incontrato, rivisto e sono diventati, loro malgrado, fonte d’ispirazione per i miei post.

Grazie infine a tutti coloro che non conosco personalmente e che comunque hanno avuto il fegato di transitare in questi mesi sul mio blog. Grazie al mio fedele lettore americano che riesce sempre per primo a cliccare il “mi piace” di Facebook (potrei sapere almeno chi sei?). Grazie al mio utente israeliano che con la sua costante presenza ha fatto sì che il suo paese risultasse tra i più attivi nella classifica internazionale. Grazie a chi ogni giorno compare, in maniera anonima, e che giustamente, ci tiene a tenere nascosta la propria identità (venisse scoperto a leggere questi pezzi, sai che vergogna). Grazie ai due hacker che sono riusciti a intrufolarsi nella pagina di gestione, senza creare danni per fortuna, e che mi hanno obbligato a scegliere una password così complicata, che perfino io talvolta non riesco ad accedere al mio stesso blog. Grazie a chi è capitato per sbaglio perché cercava altro su un motore di ricerca, come “pareri autorevoli sugli abiti firmati” (chissà che delusione una volta giunto qui), “ridare vita a un maglione infeltrito” (suggerimenti utili?) oppure, ed è la mia preferita, “escort specializzate in anziani” (esistono sul serio?). Grazie, grazie a tutti voi, perché è solo grazie a voi, che i Tempi Guasti, (purtroppo?) continuano.

Non è bello ciò che è bello

Arriva “Dopotutto non è brutto” con Geppi Cucciari – YouTube.

Gli edifici erano casupole distorte, squilibrate, addossate le une alle altre senza regola né apparente armonia, come sul punto di crollare o di ripiegarsi sulle fondamenta stesse, quasi fossero diventate improvvisamente liquide. Lo spazio che le conteneva a stento era ridotto, claustrofobico, schiacciava edifici e personaggi su di un unico piano privo di prospettiva, trasformando il paesaggio in una visione da vertigine, un vortice di tinte squillanti e di contorni irregolari, una scena che appariva intrisa dell’angoscia di un incubo. Eppure c’era qualcosa di magnetico in quei quadri, un forza attrattiva, il fascino di un’atmosfera inquietante che mi disturbava i sensi ma mi impediva al contempo di distogliere lo sguardo dalla corposità di certe pennellate, dalla voluta deformità di certe linee, dalla mancanza ricercata di una certa gradevolezza. Fu esattamente lì, davanti ad alcune opere di Chaim Soutine (1893 – 1943) pittore russo naturalizzato francese, non riconducibile ad alcun movimento artistico ma spesso accostato agli espressionisti (etichettato per comodità “un maledetto”, come si è soliti definire personalità indipendenti e difficili da imbrigliare entro precise correnti) che decisi mi sarei interessato di arte. Volevo appropriarmi degli strumenti necessari per comprendere quello che appariva il linguaggio insensato di alcuni autori, per andare al di là del “bello, brutto, mi piace, non mi piace” che ripetiamo come un mantra alle mostre, per riuscire a decifrare quanto di incomprensibile e misterioso si potesse celare dietro un dipinto o una scultura. Quando, anni dopo, mi ritrovai a lavorare in un museo di arte contemporanea, era proprio questo il punto in cui mi accaloravo di più nelle mie spiegazioni, in cui mettevo più foga o entusiasmo, quando aiutavo i ragazzi, che accompagnavo nelle sale, a ripercorrere le tracce e gli indizi necessari per l’apprezzamento e la comprensione di un’opera o di un artista, quando tentavo di condividere con loro la soddisfazione di poter leggere e riconoscere, in un ammasso intricato di forme e volumi (qualora ci fossero) un cavallo, un giocoliere, una ballerina o il nulla più totale.

Ed è ciò che mi accade ancora oggi, quando, solleticato in alcune conversazioni, mi sento punto nel vivo di fronte a frasi come “questo scarabocchio sarebbe arte?”, e dunque mi prodigo in lunghissime risposte difendendo il valore artistico di una creazione che può spostarsi e risiedere nel gesto dell’autore, nello sguardo soggettivo della sua interiorità, nel rispetto di una tradizione che va superata non necessariamente dal punto di vista tecnico. Spesso fiato sprecato: esco il più delle volte sfinito da certi confronti, con il mio irremovibile interlocutore convinto a metà. Da qualche tempo perciò ricorro al solito, indicato, stratagemma: regalo, come è successo qualche tempo fa con il mio amico Andrea, il libro Lo potevo fare anch’io, perché l’arte contemporanea è davvero arte, scritto in un linguaggio leggero, comprensibile, perfino spiritoso, da Francesco Bonami, celebre critico e curatore, professionista con l’invidiabile pregio di rendere accessibile e divertente l’ermetico ed elitario linguaggio artistico. Come convinto sostenitore, perciò, del suo approccio originale e quasi scanzonato alla materia, ci tengo a suggerire, ad Andrea e a chiunque altro legga questo post, anche il programma tv condotto proprio dallo stesso Bonami, in onda da un paio di settimane su Rai Uno il mercoledì sera alle 23,20, dall’azzeccato titolo Dopotutto non è brutto, che vede anche la riuscita partecipazione di Geppi Cucciari (nel video allegato il promo). Quattro puntate, dedicate ciascuna a una città italiana (Venezia e Roma quelle già affrontate, Torino e Napoli i prossimi appuntamenti) alla scoperta, come in un tradizionale Grand Tour, di architetture, installazioni, musei privati e non, spesso snobbati o sottovalutati – in una nazione dal patrimonio antico smisurato come la nostra – perché modernamente attuali, dunque di difficile integrazione o comprensibilità per un pubblico più vasto. Al programma, a dire il vero criticato un po’ ovunque per la vena satirica e irriverente (ma perché, cosa vi aspettavate da Geppi?) va riconosciuto invece il pregio di mettere l’accento su spazi e luoghi di frequente liquidati come “brutti” o mal riusciti perché lontani dal peso della tradizione artistica italiana, vanto e maledizione di un paese che da sempre fatica a guardare oltre il Rinascimento. E di far magari scoprire a qualcuno in più che quel lungo ponte scivoloso, da evitare di percorrere nelle vostre passeggiate cittadine, è soltanto un’altra meraviglia che il resto del mondo ci invidia.

N.d.r. Negli stessi anni in cui mi appassionavo alla storia dell’arte, presi anche consapevolezza che certe materie, in cui raggiungevo a stento la sufficienza, le avrei abbandonate lì (“la matematica non sarà mai il mio mestiere” andavo infatti cantando come Venditti). A rendermi chiaro che non fossi esattamente tagliato per i numeri e le formule è stata una professoressa a cui era impossibile non voler bene, perché ironica, stravagante, sopra le righe, una vera forza della natura (mi ha sempre voluto chiamare Stefano, tanto per dire). A lei, che solo ieri ha deciso di lasciarci, in modo imprevedibile, proprio come aveva insegnato, va il mio ricordo e la mia affettuosa dedica di questo post.

So this is Christmas…

▶ Mina Feat. Fiorello – Baby, It’s Cold Outside [Christmas Song Book] – YouTube.

Non è che proprio detesti il Natale. Diciamo che non mi sta particolarmente simpatico. D’accordo, sarò sincero: un po’ lo detesto. E non c’è neanche una ragione plausibile poi, che so, una spiegazione logica e inattaccabile che possa fornire ogni volta a chiunque si accorga della mia più che visibile intolleranza alla stucchevole atmosfera da Jingle Bells. Ma non riesco davvero a fingere il minimo entusiasmo o una noncuranza strategica: perché mi innervosisce il clima di euforia collettiva che sembra cogliere tutti già in fase di allestimento dell’albero (che infatti io nemmeno possiedo), mi irrita l’eccitazione generale in vista dei preparativi che serpeggia nelle strade addobbate a festa (perfino la sperduta e semideserta località in cui vivo assomiglia in questi giorni a Las Vegas), mi infastidiscono le maggiori attenzioni e gli atteggiamenti premurosi della gente mirati al “volemose bbene, è quasi Natale”. In altre parole, in questo periodo la sensazione con cui più spesso mi trovo a fare i conti è quella del disadattato, del pesce fuor d’acqua, dell’alieno, perché profondamente incapace di comprendere e condividere il comune senso di ebbrezza che pervade il mio prossimo per l’imminente arrivo delle festività. Ecco, vi dirò di più, se poi ci fosse davvero un inferno (in cui finirei per direttissima, senza neanche passare dal “via”, come succedeva al gioco del Monopoli) direi che per me potrebbe avere proprio le sembianze del classico (e insopportabile) mercatino di Natale: quel posto sempre troppo affollato, zeppo di coppiette e famigliole infagottate per il freddo tra cui muoversi è divertente come in un campo minato, in mezzo all’ingombro di bancarelle stracolme di oggetti inutili e di dubbio gusto, spacciati per capolavori artigianali, dove ogni anno vengo trascinato, o meglio risucchiato, in cerca dei regali più appropriati.

Perché poi, manco a dirlo, c’è appunto la temuta parentesi “regalini”: che è, dal mio punto di vista, un’operazione delicatissima e scrupolosa, da non risolvere, come spesso avviene, con la prima bruttura acquistabile sotto casa e poi donata con un “ho cercato tanto qualcosa che ti potesse piacere”, concretizzatosi talvolta nel tempo, con tutto lo stupore del caso, in un orrendo soprammobile in finto vetro soffiato. Quei (pochi, in realtà) pensieri che io invece mi preoccupo di comprare, mi richiedono un discreto impegno di tempo e dedizione, perché provo perlomeno a calarmi nelle esigenze dei destinatari, e arrivo così a buttare interi pomeriggi di shopping alla ricerca di un’idea che alla fine non sbuca mai. Poi va sempre a finire che il giorno della vigilia non possieda ancora alcun pacchetto da donare e il tutto termina, da copione, con una dannata corsa tra quei pochi negozi rimasti aperti, che mi vedono arrampicare come uno scalatore tra gli scaffali ormai svuotati. Al contrario, c’è chi, tra i miei amici, ha affinato una tattica efficacissima e magari, mesi prima, anche in pieno Agosto, ti butta lì una frase del tipo “e come regalo, per esempio a Natale, cosa vorresti?” e intuisci che tutto quello che dirai in quel momento potrebbe essere usato in futuro contro di te (“me l’avevi chiesto tu, ricordi? quella sera, sulla spiaggia…). Che poi, in simili occasioni, mentre nella tua testa, in risposta, oscillerebbero pensieri costosi o atroci che vanno dalla vacanza in Marocco a uno sfollagente o una mazza chiodata, sai bene che non puoi offendere o ferire il tuo affettuoso interlocutore, e quindi ti tocca limitarti a un “mah, non saprei…un libro?”. Sorvolando sulla categoria di quelli che arrivano a svelarti il regalo nel momento stesso in cui te lo porgono ancora impacchettato fra le mani (“Tanti auguri! E’ un bagnoschiuma!” “Ah, grazie! Potevi evitare anche di incartarlo, a questo punto!”), discorso a parte meritano quelli, come mia madre, che non stanno nella pelle all’idea di averti fatto una sorpresa, e muoiono dalla voglia di dirtelo. “Non immagini nemmeno cosa ti ho comprato quest’anno!” comincia, giorni prima, e io “No, infatti. E’ un regalo, non dovrei saperlo”, poi aggiunge “chissà se ti piacerà. O se ti ho preso la taglia giusta” “Quindi si indossa? Allora di sicuro non è un dopobarba” e lei conclude “ecco, vuoi sempre sapere troppo. Anche da bambino, era così, arrivava il Natale e avevi già aperto tutti i regali” “Forse perché qualcuno mi aveva già fatto capire cosa fossero?” e la conversazione si chiude in un’allegra divergenza di opinioni sui vecchi tempi. Concludo questa mia insensata parentesi sul Natale, con le sue conseguenti disavventure, allegandovi il mio personale pensiero, che poi, è più o meno lo stesso dello scorso anno: una canzone di Mina, l’ultima, tra l’altro, il duetto con Fiorello Baby, it’s cold outside, tratta appunto dal suo album di canzoni natalizie Christmas Song Book, sperando che vi piaccia. Per gli auguri invece c’è ancora tempo.

P.s. Mentre scrivevo questo post il mio amore era tutto intento a spargere per casa decine di metri di lucine a intermittenza. Adesso mi sembra di abitare allo Studio 54. Non c’è scampo.