Solidarietà a secchiate

Donatella Versace ALS Ice Bucket Challenge – YouTube.

In questo scorcio d’estate meterologicamente capricciosa, per non dire fin troppo avara di cieli azzurri (eccezion fatta per quei magnifici e soleggiati venti giorni di Agosto che, per un inaspettato e sfacciato colpo di fortuna, hanno finito per coincidere in toto con le bramate vacanze del blogger scansafatiche autore di questa pagina, inducendolo a presenziare maggiormente sulle spiagge che non sul web…ma questo forse l’avevate già notato) occorre forse ripartire dalla constatazione di una, assai dibattuta, anomalia avvenuta sul piano della comunicazione. E cioé che, per quanto emittenti radiofoniche e case discografiche abbiano fatto davvero del loro meglio per assediarci e asfissiarci ovunque con i soliti, ballabili e orecchiabilissimi tre, forse quattro motivetti pop, tutti ugualmente aspiranti al titolo ambito di tormentone di stagione, ma nessuno dei quali, a dire il vero, poi divenuto vincitore incontrastato, l’onnipresente, più rilevante e martellante fenomeno globale di questa estate 2014 non è stato un brano musicale ma, al contrario, un video amatoriale. No, non sto naturalmente parlando del criticatissmo “sexy – incidente” capitato su di un palco in Perù alla nostra Laura Pausini, che troppo fiduciosa nella tenuta dell’accappatoio con cui si stava esibendo in un bis al termine di un suo concerto, ha mostrato involontariamente al pubblico ben altre doti, oltre a quelle canore, episodio che soltanto lo scorso Luglio sembrava comunque aver segnato irrimediabilmente la stagione in corso come quella da ricordare per la fuoriuscita della “patata romagnola”. Mi riferisco invece alla virale e riuscitissima, sebbene causa di inarrestabili fiumi di polemiche, campagna di sensibilizzazione promossa dalla ALS Association, la più importante organizzazione americana impegnata nella lotta e nella raccolta fondi per combattere la SLA, la sclerosi laterale amiotrofica, lanciata proprio in questo mese e nota con il nome di Ice Bucket Challenge (per intenderci “la sfida della secchiata d’acqua gelida”). Il meccanismo è semplice: ogni sfidato ha ventiquattr’ore di tempo per effettuare una donazione in favore della ricerca contro la malattia (in Italia è possibile farla tramite il sito dell’AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, http://www.aisla.it/) pena riprendersi mentre si rovescia (o gli viene rovesciato addosso) un secchio pieno d’acqua ghiacciata e quindi diffondere il video. Inoltre ciascuno sfidato deve a sua volta sfidare, nominandole nel proprio video, altre tre persone (le più varie o le prime che vi vengono in mente) a fare altrettanto, innescando così in questo modo una catena di solidarietà e divertimento che abbia comunque il fine di far circolare l’iniziativa sui media, per dar maggior spazio alle informazioni sulla terribile malattia e ovviamente ottenere allo stesso tempo più proventi possibile. E se in tutto il mondo la campagna, che ha coinvolto trasversalmente personaggi dello sport (da Cristiano Ronaldo a David Beckham), colossi dell’informatica (Bill Gates e Marc Zuckerberg in primis), celebrities di ogni sorta (in allegato il video di Donatella Versace, il migliore, a mio modesto parere, per quell’attimo di esitazione accompagnato da un italianissimo “No, aspetta” dopo un accorato appello a contribuire in un inglese compassato) e anonimi donatori desiderosi dei pochi loro minuti di notorietà (esilaranti i vari video con scivoloni ed errori di ogni sorta trovabili in rete), non sono mancate, soprattutto in Italia, critiche crudeli mosse all’insolito progetto, che si sono poi estese ai numerosissimi volti noti che ne hanno preso parte. Scagliate soprattutto dal severo popolo di internet, troppo dedito, come il sottoscritto, a elargire opinioni e bacchettate anche quando non richiesto, così come ad affrettarsi a rimproverare il vuoto narcisismo di chi ha aderito alla campagna (lo stesso che però non gli vieta di essere presente con milioni di selfie, ad ogni ora su ogni social network), esigendo in alcuni casi perfino la foto, la fattura o comunque la prova delle reali donazioni effettuate (sorvolerei inoltre qui sulle ridicole prediche fatte a Luciana Littizzetto, rea di aver sventolato solo 100 euro nel proprio video e dunque tacciata di tirchieria, e sul capitolo a parte che meriterebbe la strumentalizzabile doccia gelata di Matteo Renzi, primo ed unico capo di Stato a rispondere all’appello). “Coltivate il senso dell’umorismo: c’è tanto da ridere al mondo, degli altri, di voi stessi, delle cose che vi parevano così importanti e che invece erano così stupide” consigliava con ironia pungente, nel suo premiatissimo libro d’esordio del 2009 L’ultima estate, Cesarina Vighy, malata di SLA e scomparsa l’anno successivo, opera divenuta oggigiorno più attuale che mai. Una lezione che in tanti, troppi, in tutta questa assurda vicenda, dovrebbero forse tenere bene a mente.

Istanti con…gelati!

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La sabbia sotto i piedì è così bollente da costringermi ad eseguire una coreografia di piccoli e ridicoli balzelli e a maledire bisbigliando lo sciagurato momento in cui ho deciso di lasciare i miei, adesso agognati, sandali vicino l’ombrellone (“tanto devo solo arrivare al bar” pensavo, ingenuamente). La mia amica Valentina, più avveduta, mi precede a passi svelti con le sue ciabattine e il suo nuovo, esplosivo, bikini giallo zafferano, ridacchiando e raccogliendo, quasi senza accorgersene, gli sguardi ammirati di tanti uomini e quelli traboccanti di invidia delle rispettive donne (causa anche di un paio di gomitate punitive volate tra moglie e marito da una sdraio all’altra). In coda ci segue il mio amore, che ad ogni bella stagione mi fa accrescere il sospetto di essere stato, nella sua vita precedente, una qualche creatura degli abissi o un abitante della mitica Atlantide, tale e sconfinata è la sua passione per il mare, visto che le uniche occasioni in cui a fatica riesco a fargli abbandonare l’acqua dopo ore e ore di bagno sono quelle in cui dalla spiaggia vado sbracciandomi per segnalare il giunto momento per una pausa pranzo e/o caffé/merenda/aperitivo (annuncio che in genere mi ritrovo ad eseguire dalla riva in sincrono con una o più mamme che tentano di recuperare allo stesso modo dalle onde il figlio undicenne). Al bancone dei gelati il barista, un giovanotto troppo abbrustolito dal sole e sul cui viso una lametta pare ormai latitare da troppo tempo (questa convinzione che basti solo un po’ di barba per essere automaticamente più belli o sexy da dove vi arriva?) sembra ignorare le nostre richieste, tutto intento com’è a pavoneggiarsi e a gigioneggiare con due turiste del noto e riconoscibile genere “gatta morta in vacanza” (“guarda che stanno solo tentando di farsi offrire da bere” mi verrebbe da suggerirgli). Valentina prova allora a ripiegare sul distributore automatico di bibite e snack lì vicino, ma vuoi per la sua incorreggibile svagatezza, vuoi per quell’attimo di stordimento dovuto al caldo soffocante, al posto del comprensibile desiderio di una bottiglietta di Coca – Cola ecco volare giù dalle spirali metalliche che separano le varie confezioni un insulso pacchettino di Ringo, cibo che non so a chi mai potrebbe venire in mente di consumare sulla spiaggia, date le scarse proprietà rinfrescanti (“accanto ci sarebbero anche dei taralli, mica penserai di prendere anche quelli?”). Ed ecco lì, sull’imprescindibile tabellone metallico dei gelati, quello che illustra scientificamente tutte le tipologie presenti e i loro singoli prezzi, quello che ogni sacrosanto stabilimento lascia ogni anno fuori a sbiadire alla luce del sole e che a fine stagione viene riempito di correzioni a pennarello, delle drammatiche “X” per indicare i cornetti o i ghiaccioli non più disponibili, troneggiare il Magnum ideato e disegnato in edizione limitata nientepopodimenoche da Dolce&Gabbana per il 25esimo anniversario dello stesso prodotto (foto allegata). In realtà, nonostante sia la prima volta che lo noti in un luogo pubblico, il gelato griffato, al gusto di vaniglia e pistacchio e ricoperto di cioccolato bianco, come mi aveva comunicato solerte una newsletter giunta qualche mese fa per e.mail (e probabilmente cestinata) si trova in commercio già dallo scorso Giugno in un apposito ed elaboratissimo astuccio da conservare e collezionare. Inevitabili a quel punto le seguenti domande sollevate dai miei accompagnatori: “L’hai visto il Magnum di Dolce&Gabbana?” “Lo prendiamo?” “Ma come mai lo hanno disegnato loro?” “Forse perché avranno iniziato negli stessi anni?” “Ma l’hai vista carina la loro prossima collezione invernale?” “Ale che ci dici?”. Niente. Buio. Non una data, un abito, un accidenti di indizio che mi sia venuto in aiuto in quell’istante. Non un ricordo, un appiglio, una parvenza di risposta pseudoprofessionale che sia riuscito a fornire loro, all’altezza del mio strombazzato status, di chi si vanta cioè di scrivere di moda da anni. La sola giustificazione alla mia momentanea amnesia risiede nel fatto che quando mi trovo in vacanza come adesso, ed era da tempo che non mi godevo un Agosto di così completa e sfacciata nullafacenza, stacco di netto con la vita di tutti i giorni, accantono passioni e incombenze, mi limito a discutere di mare, feste sulla spiaggia, cene e vari divertimenti, dimenticandomi spesso di chiamare amici e genitori (che mi subissano di sms del tipo “sei vivo?”) come delle più elementari e consuete informazioni con cui sono solito imbattermi per lavoro o per piacere. Esattamente come di possedere un blog tutto mio: non lo stavo aggiornando da circa una settimana, ma perché non mi avete detto niente? (Ndr. Dolce & Gabbana hanno cominciato nel 1985. La loro prossima collezione invernale femminile mischia la consueta ispirazione alla Sicilia ad un’atmosfera da vecchia fiaba. L’ho riguardato appositamente per voi. Sotto l’ombrellone).

Le mille bolle blu

Dopo aver attentamente seguito con i suoi fratelli, dall’alto della cancellata che sovrasta il parcheggio, quelle due o tre manovre svogliate e audaci con cui finisco per posteggiare l’auto sempre e solo dal lato sinistro (d’altronde soltanto così mi riesce), il primo a rivolgermi la parola è Davide, 7 anni, occhi enormi e indagatori, i capelli venati di un simpatico colore rosso, proprio come il manto di certi scoiattoli che talvolta si vedono scendere giù dagli alberi. “Me lo dici come ti chiami?” gli faccio io subito dopo averlo raggiunto, ricambiando quel suo sguardo liquido e dubbioso, ed eccolo finalmente allargarsi in un primo, disarmante sorriso, per rispondere con prontezza inaspettata alla mia domanda “No!”. Appunto. “Lui è Mister No!” esordisce d’un tratto Giancarlo, un anno più piccolo, stessa aria svelta e furba del fratello, di chi ha imparato troppo presto a cavarsela da solo, mascherata però da un aspetto più mite e angelico, corredato di capigliatura biondissima ed occhi chiari e scintillanti. “Io mi chiamo Renata” aggiunge infine, con una dolcezza irresistibile, l’unica femminuccia del gruppo, sorella di entrambi e gemella di Giancarlo, come conferma l’identico sguardo luminoso e felino, incorniciato da un viso lievemente più paffuto, su cui svetta un piccolo tocco di civetteria, un minuscolo fermaglio a scostare dalla fronte qualche ciuffo di capelli. La temuta fase di presentazione, penso io, è andata meglio del previsto: tenuto a bada quel capriccioso groviglio di emozioni, causa di improvvise e inarrestabili lacrime che spesso si affacciano nei momenti meno opportuni, faccio finalmente la conoscenza della nuova, numerosa e scoppiettante, formazione familiare dei miei amici Silvia e Marco. Tra le pochissime e insostituibili persone su cui posso fortunatamente contare nella vita, di quelle che potresti svegliare nel cuore della notte certo che accorrerebbero senza porsi troppe domande, Silvia è senza dubbio la più indipendente, la più imprevedibile, quella dotata di una risata così fragorosa e coinvolgente da riuscire a trascinare chiunque in ore e ore di singhiozzi incontrollabili e divertiti. “Ho conosciuto un uomo interessante” mi confessò all’improvviso una sera d’inverno di qualche anno fa, lei che non aveva mai apertamente incluso la vita di coppia tra le sue priorità, “E? Dimmi di più!” la incalzai, “Beh, è riservato, ironico, molto piacevole…forse brutto!” “Brutto? Come brutto? Tipo Danny de Vito?” “Direi più Giancarlo Magalli!”. Ovviamente Marco, quell’uomo speciale di cui Silvia era rimasta allora così colpita, non assomiglia neanche lontanamente (e per fortuna) al nostro Magalli. Ovviamente, dopo poco più di un anno da quell’episodio, mi ritrovai piuttosto brillo e forse ancora incredulo a brindare al loro felice matrimonio.

Qualche mese fa, con la stessa consueta naturalezza con cui pochi minuti prima a tavola, durante una delle loro superbe e ipercaloriche cene che spesso preparano per me e il mio amore, ci avevano rivolto frasi cordiali del tipo “Prendi pure dell’altro arrosto. Vuoi ancora un po’ di vino?” Silvia e Marco ci confidarono, quasi all’unisono, dopo un breve sospiro: “Abbiamo deciso di adottare dei bambini!”. Silenzio. Stupore. Stavolta piango. “Bambini? Plurale? Più d’uno, quindi?” riuscii, non so come, a balbettare. “Sì, tre!”. Di nuovo silenzio. E mille parole saltar fuori all’improvviso e rincorrersi tra le pareti della testa. Coraggio. Incoscienza. Attesa. Follia. Amore. Soprattutto amore. Perché non credo esista un’altra e più plausibile ragione che possa spingerti ad affrontare mesi, forse anni, di lungaggini e asperità burocratiche, di continue e concrete speranze spesso rinviate o disattese, di momenti stancanti e precipitosi in cui sei chiamato a rivoluzionare tutta la tua vita per far spazio alle esigenze affettive e materiali di chi d’ora in poi diventerà tuo figlio. E poi tutte le domande, i dubbi, le paure talvolta paralizzanti con cui chi si appresta a diventare genitore deve fare necessariamente i conti, complicate da quel periodo delicatissimo e imprescindibile di contatto, conoscenza e confidenza da dover consolidare in un lungo soggiorno nel paese d’origine dei bambini, spesso uno Stato lontano, di cui è facile ignorare la lingua come le abitudini più elementari. “Stanca? No, perché?” fu la risposta immediata e serena di Silvia, contattata via Skype la prima volta, in una situazione che avrebbe fiaccato chiunque alla sola vista, i tre bambini a scorrazzare su e giù per casa e a salirle in braccio a turno, di sottofondo un escalation di richieste alla rinfusa, immancabilmente concluse con un emozionante coro di “mamma, mamma”! “Sono bellissimi, gioviali, ubbidienti e impazziscono per le bolle di sapone” fece inoltre in tempo ad aggiungere: un’informazione importante a cui sono ricorso per il mio primo regalo, tre coloratissime pistole sparabolle a pile, corredate di tre lacci per maxi-bolle, più una buona scorta di sapone. Risultato: dopo solo venti minuti dal nostro primo incontro, Davide, Giancarlo e Renata non solo avevano i capelli fradici, le mani tremendamente appiccicose e gli abiti pieni di aloni ma avevano soprattutto sepolto il giardino di casa sotto un infinito e surreale tappeto di bolle. “La prossima volta cerca di presentarti con un peluche” mi fa Silvia con un sorrisino sarcastico, incrociando complice lo sguardo di Marco in un puro momento di felicità. Perché diventare genitori è sempre un’esperienza speciale: in qualche caso, semplicemente, un po’ di più.