Luna nuova

▶ Shivaree – Goodnight Moon – Clipe – YouTube.

Spazzeranno via anche molti dubbi relativi alla sua vera origine, alla natura della sua misteriosa e ostile composizione, alle ragioni della sua millennaria presenza appesa in aria a scrutare i ritmi sonnolenti delle notti terrestri. Ma ad ogni nuova ricerca scientifica che spieghi qualche capitolo in più della sua lunghissima storia o arrivi a sviscerare tutti i dettagli sulla vita del nostro satellite, ho come l’impressione che venga in parte scalfita la purezza di quell’affascinante volto di romanticismo e di imperscrutabilità che il genere umano ha da sempre riconosciuto nella luna. Non c’è paragone infatti tra la freddezza dei dati che proprio in queste settimane affioravano con scrupolo in numerose testate giornalistiche nel fornire i particolari di una nuova, sensazionale scoperta, che attribuirebbe la sua nascita alla probabile e devastante collisione, avvenuta 4 miliardi di anni fa, tra la Terra e un corpo celeste di dimensioni planetarie dal nome mitologico, Theia (http://scienza.panorama.it/spazio/Ecco-come-e-nata-la-Luna), e, dal lato opposto, tutto lo sconfinato bagaglio di leggende fantasiose, riti e tradizioni che a ritroso nei secoli gli antichi popoli hanno immaginato e narrato per giustificare la sua esistenza e la sua continua e ciclica trasformazione. Il mio amore, ad esempio, di recente preso dallo studio e dalla passione per la ricca cultura indiana, pochi giorni fa, durante un viaggio notturno in auto, forse per interrompere le mie penose interpretazioni canore con cui seguo la radio, mi raccontava, con la giusta enfasi, la storia del dio Ganesha, golosa divinità indù dalla faccia di elefante, che scagliò una delle sue zanne di avorio contro la luna incrinandone la superficie e determinandone così la luminosità a fasi alterne. “E perché mai avrebbe spaccato la luna questo Ganesha?” “Perché aveva osato ridere di una sua indigestione” “Permaloso però, il pachiderma”. Altrettanto originale, anche se non così degno di essere celebrato nei libri di tradizioni popolari, è l’utilizzo infantile del nostro satellite che ne fa la mia adoratissima nipote, a cui ricorre con furbizia come diversivo per non rispondere alle domande giudicate troppo incalzanti (“Hai finito di mangiare?” “Guarda zio, c’è la luna!”) dimostrando, con la rapida scaltrezza dei suoi pochi anni, di aver già compreso il potere magnetico di quel disco celeste di distrarre le persone o di riuscire a distoglierle dai propri pensieri. Che poi è ciò che cerco appunto di fare questa notte, la prima accompagnata dall’odioso caldo torrido di stagione, che mi spinge a preferire la finestra al letto, dove almeno posso sentire sul viso il tocco rinfrescante di una brezza, che provo a trattenere il più possibile con il respiro, mentre ascolto in loop una canzone perfettamente appropriata, Goodnight moon, buonanotte luna (video allegato). In realtà so benissimo che a tenermi sveglio non è di certo la temperatura, che il mio fisico, seppur appesantito da troppi stravizi culinari, riesce a tollerare da sempre a meraviglia, quanto uno sfinente e prolungato momento di intoppo e di generale ripensamento, soprattutto professionale, che sta adesso attraversando la mia vita. When I’m alone all the dreaming stops and I just can’t stand, ‘da solo tutti i sogni si fermano e non posso sopportarlo’, continua il brano che sembra ricalcare alla lettera ogni mia più dubbiosa riflessione e che rimbalza appena sulle mie labbra mentre fisso la luna, congelata in uno spicchio di cielo tra il profilo rigoglioso di una collina, ora di un buio impenetrabile, e un mostruoso e deserto cavalcavia. Sto per mettere in discussione e forse concludere del tutto una vecchia collaborazione, seppur prestigiosa, che ho coltivato per lungo tempo con enormi sacrifici, in cui adesso però mi pare di scorgere più incognite che stimoli, mentre accarezzo sempre di più l’idea di ricominciare da un’altra parte, anche se non so bene dove, scontrandomi con tutte le paure, le ansietà e le speranze di un nuovo, ipotetico e necessario inizio. What Should I do? Che dovrei fare? Magari riuscissi davvero a saperlo, anche solo a leggerlo con esattezza sulla superficie biancastra della luna, che stanotte ha assunto la forma irregolare di uno strano recipiente parzialmente svuotato. Direi quasi un calice, un bicchiere forse, assurda e calzante metafora di come per andare avanti mi converebbe d’ora in poi riuscire a intravederne invece la metà piena. Buonanotte ottimismo. Buonanotte luna.

Distrazioni e decisioni

Ci aspetta una settimana impegnativa. Oddio, non che quella che si è da poco conclusa sia stata una passeggiata di salute. Voglio dire: abbiamo scoperto che perfino un Papa, quando si sente sovrastato dagli acciacchi e dalla gravità dei suoi compiti, può tranquillamente indietreggiare e decidere, come un qualsiasi concorrente a un quiz televisivo “No, grazie, non me la sento di andare avanti, mollo qui”. E non mi venite a fare gli esperti di diritto canonico, perché a parte quella categoria disgraziata di giornalisti chiamati “vaticanisti” che trascorrono le giornate in Piazza S. Pietro ad intervistare suore velate di ogni colore (ma quanti ordini esistono?), pochi erano a conoscenza che il pontefice potesse a un tratto alzare bandiera, rigorosamente bianca. Ad essere proprio sinceri, nessun’altra sua scelta aveva così giovato alla sua immagine: perché negli anni del suo breve pontificato, vuoi per l’intransigenza di certe sue frasi (dette poi con la durezza dell’accento tedesco, che non aiuta), vuoi per quei cappellini demodé e per le scarpine griffate Prada, vuoi per l’assenza di un sorriso bonario che invece possedeva Wojtyla, Benedetto XVI non si è mai particolarmente distinto per simpatia, come il recente (e spesso divertente) massacro mediatico su Twitter ha dimostrato. Adesso che va via, tutti a sottolineare l’umanità, il coraggio e l’umiltà di una una simile decisione: tranne quella minoranza di soliti maligni, fautori delle dietrologie, avvezzi a vomitare cattiverie sui propri blog (e quindi già condannati all’inferno) che continuano a intravedere, tra le parole della sua rinuncia, una mossa abilmente furba. Che altro? Ah, sì, niente di grave. Il nostro pianeta è stato solo sfiorato dal passaggio di un asteroide dal nome che ricorda un colorante per sciroppi (2012 DA14)  e colpito da una pioggia di cristalli di meteorite, in una zona sperduta della Russia (alzi la mano chi sognava una destinazione diversa, diciamo a sfondo politico). Una di quelle notizie che rasserenano insomma, che al minimo rumore proveniente dal cielo, magari un aquilone o un gabbiano, ti fa individuare subito, nel raggio di un km, il muro più vicino sotto cui ripararti perché, francamente, ritrovarti folgorato da un corpo celeste non è proprio la fine che ti auguri. Tralasciando infine l’altra notizia sorprendente, la recente vittoria a Sanremo di un cantante non uscito dalla scuderia della De Filippi (posso confessare che la canzone di Annalisa però mi piace più di quella di Mengoni?), torniamo a noi, a quello cioè che più ci terrà occupata la mente nei prossimi giorni: le elezioni. Lungi da me il voler ribadire le mie simpatie (o antipatie) politiche, tanto, basta dare uno sguardo veloce ai miei post passati per capire chi vorrei ci liberasse definitivamente dalla vacuità di certe promesse tarocche come il suo aspetto. La mia intenzione era invece quella di riflettere insieme su uno studio made in Usa che mi era parso particolarmente appropriato al clima nazionale, pubblicato soltanto il mese scorso sull’autorevole rivista scientifica Social Cognitive and Affective Neuroscience (http://scan.oxfordjournals.org/content/early/2013/01/11/scan.nst004.abstract?sid=aa92a16d-28a2-47b3-82f9-d74c3de7be84). Ve lo riassumo: in prossimità di una decisione importante, se siamo ancora afflitti da dubbi (e chi più di noi italiani in questo momento pre elettorale?) e non siamo minimamente in grado di stabilire quale sia il piano migliore, conviene pensare ad altro. Semplicemente distrarsi: sono sufficienti due minuti, 120 brevi secondi in cui tener occupato il cervello in altre attività, anche banali, ed ecco che, quasi magicamente, torniamo lucidi e pienamente preparati alla scelta che stiamo per compiere. Possibile? Non saprei. Ma tanto vale provare: specialmente se, come me, ormai siete asseufatti dal controllare compulsivamente ogni due minuti e.mail, Facebook, WhatsApp e quant’altro, conviene continuare a farlo anche negli istanti che precedono la sospirata entrata in cabina con schede e matita copiativa. Anche se siete tentati di rinunciare, un po’ come il Papa. O speranzosi nella mira del prossimo meteorite.