Non c’è due…

▶ Propellerheads feat: Miss Shirley Bassey – History Repeating – YouTube.

Senza tre, ovviamente, che, se volessi esordire facendo l’antipatico puntigliosetto, corrisponderebbe al terzo anno cominciato, da poche ore, molto prima che me ne rendessi del tutto conto e che, come al solito, riuscissi a individuare l’ennesimo, insensato, argomento da trattare in questo post (per fortuna una bella data da festeggiare, inzeppata al momento giusto, può riuscire, come in passato, a tamponare senza troppi sforzi i miei ricorrenti blocchi creativi). Ora, su quell’altrettanto celebre e conseguente “quattro vien da sé” ecco, non me la sentirei proprio di garantire al momento, che già mi pare un miracolo l’esser sopravvissuto, più o meno indenne, mediaticamente parlando, ai 730 giorni esatti di permanenza di questa pagina astrusa, incorniciata sin dall’inizio dalla mia inequivocabile pelata e rimasta non so come a galla nel mare magnum di internet, annaspando in compagnia di milioni di ben più riusciti e ammiratissimi blog che, al contrario, viaggiano a vele spiegate, sfiorando il mio arrangiato progettuccio amatoriale, la mia piccola e resistente zattera online, finora, a dire il vero, mai sul punto di un definitivo e drammatico naufragio. Il tutto, naturalmente, grazie all’inimmaginabile e assai soddisfacente numero di visitatori che hanno trovato il tempo, la voglia e il coraggio di soffermarsi, anche se con fretta o distrazione, a leggere la sconclusionatezza imperante nei miei puntuali racconti settimanali sulla mia quotidianità da finto 29enne, le mie criticabili e strampalate osservazioni da quattro soldi, motivate da un’infondata e ambiziosa “pseudonniscienza” di musica, cinema e tv (immancabilmente concluse con divagazioni sull’unico vero mondo che mi è congeniale, quello pop) le mie parentesi saltuarie sull’universo della moda, prima, vera e insostituibile passione, il solo campo su cui possa vantare un minimo di cultura, insufficiente però a prendere forma ogni giorno, sul mio corpo, nell’abbinamento corretto tra camicia, maglione e pantaloni (e vi evito la descrizione della tenuta di oggi, un tripudio di fantasie e colori da psicopatico temporaneamente in libertà).

26.477: questo il numero esatto, al momento (lo so, avevamo detto niente più puntualizzazioni da precisino ossessivo, ma la cifra è così esorbitante, ai miei occhi, che non posso fare a meno di riportarla) dei diversi utenti, sparsi in tutto il mondo, che almeno una volta, si sono presi la briga di concedersi una passeggiata (spero) rilassante tra l’insensatezza delle mie parole, riuscendo così a far salire le letture dei 200 post pubblicati in questi primi 2 anni di vita del blog al traguardo record di quasi 50.000 visualizzazioni (a raggiungimento avvenuto scatta il brindisi, tenetevi pronti, manca poco). Potessi, verrei ovunque, dall’Alaska alla Nuova Zelanda, da dove ogni tanto mi sbucate (a proposito, tizio che ogni giorno mi compari da Taiwan, parliamone: qual è il tuo problema? non riesci a digitare un altro indirizzo? il tuo Paese esercita una censura oppressiva su tutti gli altri siti? sei un hacker alle prime armi che non è in grado di riconoscere i blogger veramente seguiti?) per ringraziarvi ed abbracciarvi tutti, di persona, uno ad uno, con tanto di bacetto su entrambe le guance e ogni altra più smielata dimostrazione di affetto e riconoscenza, ricambiando così la fiducia e la stima che mi avete, in tutto questo tempo, inaspettatamente dimostrato (e scroccando, perché no, un’ospitata in qualche zona del pianeta che ancora non sono riuscito a visitare: ma quanto sarà opportunista il vostro amato blogger, eh?).

Colgo l’occasione per estendere naturalmente la mia enorme gratitudine ai tanti, troppi, che, loro malgrado, si sono trovati spesso coinvolti nelle mie bizzarre narrazioni, dal mio amore che scuote ogni volta la testa, coprendosi con la mano il suo sorriso irrefrenabile, di fronte all’assurdità dei miei pezzi, alla mia famiglia che più spesso, nel fare lo stesso, scuote la testa e basta, a tutti i preziosissimi e affidabili amici che hanno dato e continuano a dare un senso a questo progetto, fino a quel paio di persone incrociate in questi ultimi mesi per lavoro e che in fase di presentazione mi hanno accolto con un “ah, ma tu sei quello del blog?”, facendomi così sentire di colpo al settimo cielo. Grazie anche a chi, seppur inconsapevolmente, mi fornisce ogni volta lo spunto per delle riflessioni scriteriate che mi costringono ad annotare al volo, magari sul tovagliolino stracciato del posto in cui sto pranzando, quelle indispensabili parole rubate alle loro conversazioni, a chi, quando mi è accanto, bisbiglia sommessamente qualcosa alle orecchie degli altri e poi mi si rivolge a muso duro con un “no, a te non lo dico, poi lo scrivi sul blog”, per finire a chi, come Arianna, fondamentale e spassoso supporto in questo mio imprevisto soggiorno milanese, mi rimarrebbe giustamente offesa se provassi a non nominarla esplicitamente neanche stavolta (come se comparire su questo attrezzo fosse chissà quale privilegio od onore), a chi ha trovato soprattutto il tempo di lasciarmi due apprezzatissime parole di commento o di critica a gran parte dei miei post. Per tutti voi, quella stessa Shirley Bassey di Where do I begin con cui avevamo inaugurato, ormai due anni fa, questo pagina scombinata, tra la comprensibile e mai placata ansia iniziale, sollevata dall’allora necessario quesito “e ora, da dove comincio?”, ve la allego adesso in regalo come interprete di History Repeating: una storia che andando avanti si ripete, proprio come la nostra, qua sopra, già da due anni, solo grazie al vostro più caloroso e sincero supporto. Grazie ancora.

Es Guets Neus Jahr!

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Da buon italiano medio/superficiale/attaccato alle proprie radici, credo di rientrare in gran parte degli stereotipi, anche i peggiori, che vengono attribuiti ai nostri connazionali quando si trovano a viaggiare all’estero. Sono chiassoso, disordinato, impaziente e scalpitante di fronte alla perfetta linearità di certe file, restìo nel bere quei caffè di un marroncino tenue, visibilmente lontani dal gusto inconfondibile di un vero espresso. Per fortuna posso però contare sulla provvidenziale facoltà di riuscire a esprimermi in un inglese semi-comprensibile, imparato a suo tempo in un lontano periodo di frequentazione dei peggiori pub di Dublino (ma questa è un’altra storia, che prima o poi vi racconterò). Quando perciò posso concedermi, finalmente, una vacanza fuori dai confini nazionali, come è successo nei giorni scorsi a Basilea, in Svizzera, dove ho dato l’addio definitivo a un faticoso 2013 per accogliere speranzoso il nuovo anno, mi diverte sperimentare lo stesso gioco, drizzando le mie antenne di acuto e sarcastico osservatore, alla ricerca di tutti gli eventuali luoghi comuni da sfatare o confermare sugli altri stati o popoli. Ho accolto quindi di buon grado l’invito di Francesca e Vittorio, infaticabile e strepitosa coppia di amici da più di un anno residenti nella cittadina elvetica, che hanno abbracciato voltando le spalle a un’Italia ingrata verso il loro talento e le loro qualità professionali, adeguatamente riconosciute e valorizzate oltralpe. Il mio viaggio è cominciato invece acciuffando un treno in volata la sera stessa del 31 Dicembre, attraverso località suggestive come Domodossola (che tutti conoscono per via della D, ma che nessuno ha mai davvero visitato), Brig, Visp, Spiez, Thun, (prima considerazione in terra straniera: nel trovare un nome alle città gli svizzeri risparmiano un sacco di lettere), cronometrando la durata delle soste e delle partenze del mio mezzo in ogni sua singola tappa. Niente da fare: la famigerata puntualità svizzera esiste sul serio, alle 22.29, non un minuto più tardi, sono alla stazione centrale di Basilea (unica consolazione, i vagoni e il bagno del treno sporchi quanto quelli di un comune intercity italiano). Inghiottito dalla bellezza notturna del posto, dei fuochi di Capodanno riflessi sul Reno, della musica sacra inneggiante da chiese e cattedrali, tento almeno di smentire la supposta freddezza dei suoi cittadini. Confermata anche quella: è la notte di San Silvestro, i numerosi capannelli di persone fuori a brindare sono composti, quasi impassibili, nessun eccesso o follia per le strade, introvabile o inconcepibile il caos per i festeggiamenti (motivo per cui, da copione, ci dirigiamo verso un pub irlandese, dove balliamo fino alle 5). Voglio saperne di più: tutto così esageratamente efficiente, funzionale, organizzato, possibile? L’indomani sommergo di domande Vittorio, ospite generoso e disponibile, beccato intento a “trombare” la pasta per la pizza (verbo che nella sua Alberobello descrive il manipolare con cura l’impasto, nella mia Toscana altre e più goderecce attività). Ricevo solo nuove conferme: l’altissimo senso civico impone che i beni pubblici siano qualcosa da salvaguardare a vantaggio di tutti, gli esempi si contano a milioni. Barbecue e lavatrici sono condominiali (immaginate un accordo simile nelle sanguinose riunioni tra vicini in Italia?), alle famiglie è affidata la cura delle aiuole nelle vie, strisce pedonali e parcheggi riservati sono terreni inviolabili, pena una multa salatissima o la vendetta privata di qualche cittadino zelante che può arrivare a spaccarti lo specchietto o ammaccarti l’auto. I pomeriggi seguenti spesi in giro per i luoghi noti di Basilea e per i suoi innumerevoli e ricchi musei restituiscono l’identica immagine idilliaca: gli edifici sono spazi vivibilissimi e ben strutturati, l’architettura contemporanea non è relegata in squallide zone periferiche ma domina anche il centro della città, elettrizzando il mio amore, che da appassionato della materia, mi fa scendere al volo dai tram quando riconosce dal finestrino un edificio di Mario Botta o di Herzog e de Meuron (foto allegata), a rischio di essere seriamente investiti sui binari, perché deve fotografarlo da ogni lato. Tutto questo senza considerare la posizione più che privilegiata della stessa Basilea: incastonata nel cuore dell’Europa, con una semplice passeggiata di pochi minuti si possono raggiungere le vicine Francia e Germania e riuscire incredibilmente a visitare ben tre nazioni in un giorno solo (faticoso, ma fattibile). Insomma, come ogni comune italiano, se non fosse per gli affetti, la mia dipendenza dal sole abbagliante e dal caffè nero e forte, a parole mi sarei già trasferito anch’io.

Chi ben comincia…

The Last Good Day of the Year – YouTube.

Mi sono svegliato quasi alle 3 del pomeriggio. Più che per i bagordi di ieri sera, per colpa di un’influenza fastidiosa e imprevista, che mi scombina tutti i progetti giornalieri. Ma voglio intepretarla come un segnale: il 2013 sarà l’anno in cui fregarsene spudoratamente di programmi e pianificazioni varie, vivendo molto più alla giornata ed evitando così di essere sopraffatto dall’ansia da buoni propositi che mi coglie in genere il 1 Gennaio. Perciò, oltre al calendario 2012 avrei quasi voglia di bruciare anche la mia nuova agendina rosso fuoco e l’idea di molti ipotetici “farò” (l’abbonamento in palestra, più attenzione a quello che dico/scrivo, felici le persone che mi circondano) che stavolta rimarranno tali senza riuscire a farmi sentire troppo in colpa. Mentre la mia amica fraterna Loredana gira per casa mia canticchiando e ballando questa canzone (video allegato), dal titolo “l’ultima buona giornata dell’anno”, così romanticamente poco azzeccato oggi da sembrarmi perfetto. Auguri.

Natale è alle porte…perché non sprangarle?

Deve essere cominciata allora la mia avversione per il Natale, negli anni del catechismo. Precisamente quando suor Annalena (che mi auguro ancora in buona salute e assidua lettrice di questo blog), ignorando il mio calzante aspetto di bambino “pseudomediorientale” e la mia già eccentrica e sfavillante propensione per la moda, bocciò la mia autocandidatura al ruolo di Re Magio nella recita parrocchiale, affidandomi invece la parte ben più tristanzuola e marginale di pastorello, senza neppure farmi indossare una misera pelle di pecora che almeno avrebbe fatto un po’ di scena. Episodio che consolidò il mio crescente astio verso la festività, scaturito in precedenza dalla delusione di scoprire quanto vani fossero i miei sforzi per cercare di essere più buono in vista del Natale, dal momento che in realtà non esisteva nessuno così attento alla generosità delle mie azioni, da doverle poi ricompensare adeguatamente con il regalo specificato nella letterina. (Apro necessaria parentesi. A casa mia le letterine si scrivevano a Gesù Bambino in persona, bypassando il troppo laico Babbo Natale. E i regali che sbucavano al mattino, vicino all’esotico presepe allestito con perizia da mio padre in salotto, erano stati recapitati addirittura dal “festeggiato” stesso, che campeggiava beato, nel presepe medesimo, nelle fattezze di una piccola statuina avvolta in un panno azzurro, tenuta da mia madre, fino a Natale, ben nascosta tra le bottiglie degli alcolici. Azione che non ho mai capito se dettata dalla volontà che io e mia sorella non scoprissimo mai l’originale nascondiglio o dalla convinzione che forse gli effluvi del Glen Grant avrebbero permesso al Bambino di tollerare meglio le alitate del bue e dell’asinello). Insomma, senza tediarvi troppo con i racconti della mia infanzia felice e bislacca, da uomo maturo e riflessivo quale sono adesso (e questa è una battuta) ritengo che, forse complice il peso di un’educazione cattolica e il forte senso religioso del posto in cui sono cresciuto, o forse per colpa della mia già allora spiccata indole di sognatore, negli anni ho sempre caricato il Natale di chissà quali aspettative, costantemente deluse. Voglio dire: alla fine è sempre stata una giornata come tante altre. Fatta di piccoli momenti piacevoli, di pranzi infiniti tra le chiacchiere e le esagerazioni culinarie dei parenti (a cui dovrei dedicare un altro post), di giochi a carte che non ho mai imparato e di attimi di noia, passati a spiluccare l’uvetta dai panettoni e a scansare i canditi (lo fate anche voi?). Ecco, dal Natale ci si è sempre aspettati, o meglio, mi sono sempre aspettato, qualcosa di eccezionale, unico, irripetibile: mi emozionava l’attesa per un giorno che adesso faccio fatica a distinguere, nella memoria, anno per anno. Perché allora non riconoscevo la meraviglia e la magia della quotidianità, dove spesso si insinuano gli unici, veri, attimi felici. Questo allora il mio consiglio per questo Natale: vivetelo davvero come un giorno speciale, perché lo è, esattamente come lo sono tutti gli altri giorni dell’anno. I miei migliori auguri.