Passioni in estinzione

Lo spunto, come già in passato per alcuni miei post, me l’ha fornito quella meravigliosa e insolente creatura che è mia nipote Giulia, quasi tre anni e una lingua che si è improvvisamente sciolta in frasi da fiabe d’altri tempi e un po’ direttive, del tipo “non tornare tardi, non tornare buio, non passare bosco!”. E se mai vi sfiorasse il dubbio che l’ultimo consiglio, quello relativo cioè al bosco, sia esclusivamente frutto di una fantasia visionaria, tipica alla sua età, o di una fascinazione improvvisa per Cappuccetto Rosso, la colpa in realtà risiede in parte nel suo credersi con fermezza l’incarnazione di Robin Hood, in parte nel suo abitare sul serio, secondo una poetica quanto scomoda scelta di mia sorella, semi-circondata da un vero bosco, dove, per raggiungerla, solo in questi ultimi mesi ho evitato di investire con l’auto tre caprioli, un cinghiale, un istrice, un fagiano (per il rospo saltato in mezzo alla strada all’ultimo minuto, invece, non c’è stato purtroppo niente da fare). Dicevo, mia nipote, oltre a quell’indiscusso potere diffuso tra i bambini di trasformare i propri nonni da persone autorevoli in esseri quasi ridicoli (per esempio, l’altro giorno ho beccato mio padre, in genere serissimo, travestito da pirata, con tanto di benda sull’occhio, mestolo di legno a mo’ di spada e custodia del rum spacciata per scrigno del tesoro), ha la consuetudine di uscire sempre di casa (attraverso il bosco, appunto) con qualcosa di diverso ben stretto tra le mani, un qualsiasi oggetto, un giocattolo, un regalo, che per tutta la giornata poi non abbandona mai, eleggendolo a compagno prescelto e inseparabile per le sue ore all’aperto. Al di là dell’assenza di un criterio nella designazione del “favorito del giorno”, che può essere indifferentemente un tubetto di dentifricio, un panetto colorato di Didò, una scarpa di una bambola o l’arco di Robin Hood (modellato, manco a dirlo, da mio padre in persona), quello che mi stupisce ogni volta è il suo trascinarsi con cura ovunque vada il  momentaneo prediletto, senza necessariamente coinvolgerlo nei suoi giochi, quasi fosse tranquillizzata, rassicurata, dalla sua sola presenza, dalla consapevolezza di poterlo avere sempre con sé.

E noi adulti? (vorrei sottolineare che nonostante l’evidente immaturità del soggetto mi sarei inserito anch’io nella categoria, ma solo per motivi anagrafici). Mi chiedevo: avvertiamo ancora anche noi lo stesso bisogno di affidarci alle cose, di vedere l’indispensabile nell’inutile, di rifugiarci dietro una nostra copertina di Linus (senza il dito in bocca, spero), o gli anni che passano ci lasciano indifferenti al valore protettivo, consolatorio, scaramantico, degli oggetti? Beh, sarà per la mia, più volte dichiarata, stramba personalità, incline al maniacale, o per un conclamato difetto genetico che mia nipote al momento dimostra ma che mi auguro le svanisca in futuro, fatto sta che devo ammettere di possedere anch’io un caro e irrinunciabile oggetto, senza il quale mi sentirei nudo: la mia agendina. Una piccola e classica agenda cartacea, che all’inizio di ogni anno scelgo con attenzione, nel colore (che può variare dal rosso all’arancio, ma insomma deve essere sempre caldo), e nella forma (la solita, tascabile, così da poter inserire la vecchia lista di numeri di telefono scrupolosamente ricopiati negli anni, dopo che un dannoso furto di cellulare mi ha privato di colpo di qualcosa come 300 contatti). Che per me è molto di più di un banale supporto mnemonico dove annotare quotidianamente appuntamenti e scadenze, anniversari e compleanni, oscillazione di peso (ultimamente in ascesa) e cambio di password, ma un necessario strumento di pianificazione della mia vita, la fonte dell’illusione di un’esistenza organizzata e disciplinata a dovere. Non mi separo da lei neanche quando passo di stanza in stanza in casa, la poggio sul comodino ogni sera prima di spegnere la luce e la riapro appena sveglio il mattino seguente, la sfodero come un’arma in treno o in bus per annotare le parole che mi colpiscono nelle conversazioni altrui, sicuro che in futuro mi torneranno utili in qualche modo. “Cosa ci scriverai mai?” mi prendono spesso in giro amici e colleghi (che nei miei anni professionali a Roma mi avevano appunto ribattezzato “agendina”, per sottolineare anche la mia “g” debole toscana): ma io, indifferente alla sua fama di oggetto preistorico o inutile, perché soppiantato dall’avvento della tecnologia (http://www.ilgiornale.it/news/interni/2014-vecchia-agenda-addio-979642.html) continuo imperterrito nella mia passione. Irrazionale e incomprensibile, forse. Come un vecchio amore, impossibile da sostituire.

Es Guets Neus Jahr!

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Da buon italiano medio/superficiale/attaccato alle proprie radici, credo di rientrare in gran parte degli stereotipi, anche i peggiori, che vengono attribuiti ai nostri connazionali quando si trovano a viaggiare all’estero. Sono chiassoso, disordinato, impaziente e scalpitante di fronte alla perfetta linearità di certe file, restìo nel bere quei caffè di un marroncino tenue, visibilmente lontani dal gusto inconfondibile di un vero espresso. Per fortuna posso però contare sulla provvidenziale facoltà di riuscire a esprimermi in un inglese semi-comprensibile, imparato a suo tempo in un lontano periodo di frequentazione dei peggiori pub di Dublino (ma questa è un’altra storia, che prima o poi vi racconterò). Quando perciò posso concedermi, finalmente, una vacanza fuori dai confini nazionali, come è successo nei giorni scorsi a Basilea, in Svizzera, dove ho dato l’addio definitivo a un faticoso 2013 per accogliere speranzoso il nuovo anno, mi diverte sperimentare lo stesso gioco, drizzando le mie antenne di acuto e sarcastico osservatore, alla ricerca di tutti gli eventuali luoghi comuni da sfatare o confermare sugli altri stati o popoli. Ho accolto quindi di buon grado l’invito di Francesca e Vittorio, infaticabile e strepitosa coppia di amici da più di un anno residenti nella cittadina elvetica, che hanno abbracciato voltando le spalle a un’Italia ingrata verso il loro talento e le loro qualità professionali, adeguatamente riconosciute e valorizzate oltralpe. Il mio viaggio è cominciato invece acciuffando un treno in volata la sera stessa del 31 Dicembre, attraverso località suggestive come Domodossola (che tutti conoscono per via della D, ma che nessuno ha mai davvero visitato), Brig, Visp, Spiez, Thun, (prima considerazione in terra straniera: nel trovare un nome alle città gli svizzeri risparmiano un sacco di lettere), cronometrando la durata delle soste e delle partenze del mio mezzo in ogni sua singola tappa. Niente da fare: la famigerata puntualità svizzera esiste sul serio, alle 22.29, non un minuto più tardi, sono alla stazione centrale di Basilea (unica consolazione, i vagoni e il bagno del treno sporchi quanto quelli di un comune intercity italiano). Inghiottito dalla bellezza notturna del posto, dei fuochi di Capodanno riflessi sul Reno, della musica sacra inneggiante da chiese e cattedrali, tento almeno di smentire la supposta freddezza dei suoi cittadini. Confermata anche quella: è la notte di San Silvestro, i numerosi capannelli di persone fuori a brindare sono composti, quasi impassibili, nessun eccesso o follia per le strade, introvabile o inconcepibile il caos per i festeggiamenti (motivo per cui, da copione, ci dirigiamo verso un pub irlandese, dove balliamo fino alle 5). Voglio saperne di più: tutto così esageratamente efficiente, funzionale, organizzato, possibile? L’indomani sommergo di domande Vittorio, ospite generoso e disponibile, beccato intento a “trombare” la pasta per la pizza (verbo che nella sua Alberobello descrive il manipolare con cura l’impasto, nella mia Toscana altre e più goderecce attività). Ricevo solo nuove conferme: l’altissimo senso civico impone che i beni pubblici siano qualcosa da salvaguardare a vantaggio di tutti, gli esempi si contano a milioni. Barbecue e lavatrici sono condominiali (immaginate un accordo simile nelle sanguinose riunioni tra vicini in Italia?), alle famiglie è affidata la cura delle aiuole nelle vie, strisce pedonali e parcheggi riservati sono terreni inviolabili, pena una multa salatissima o la vendetta privata di qualche cittadino zelante che può arrivare a spaccarti lo specchietto o ammaccarti l’auto. I pomeriggi seguenti spesi in giro per i luoghi noti di Basilea e per i suoi innumerevoli e ricchi musei restituiscono l’identica immagine idilliaca: gli edifici sono spazi vivibilissimi e ben strutturati, l’architettura contemporanea non è relegata in squallide zone periferiche ma domina anche il centro della città, elettrizzando il mio amore, che da appassionato della materia, mi fa scendere al volo dai tram quando riconosce dal finestrino un edificio di Mario Botta o di Herzog e de Meuron (foto allegata), a rischio di essere seriamente investiti sui binari, perché deve fotografarlo da ogni lato. Tutto questo senza considerare la posizione più che privilegiata della stessa Basilea: incastonata nel cuore dell’Europa, con una semplice passeggiata di pochi minuti si possono raggiungere le vicine Francia e Germania e riuscire incredibilmente a visitare ben tre nazioni in un giorno solo (faticoso, ma fattibile). Insomma, come ogni comune italiano, se non fosse per gli affetti, la mia dipendenza dal sole abbagliante e dal caffè nero e forte, a parole mi sarei già trasferito anch’io.

Era il 2013…

▶ Daft Punk – Get Lucky (Official Audio) ft. Pharrell Williams – YouTube.

A differenza del Natale, che ogni anno mi piomba addosso come un meteorite, lasciandomi stordito nonché arricchito di qualche regalo riciclato, chilo o herpes labiale di troppo, nutro per il Capodanno, per il suo eccitante e febbrile clima di attesa, condito di programmi incerti, countdown per il brindisi, auguri urlati e fuochi d’artificio, un’adorazione sconfinata. Tanto per fare della psicologia spicciola, credo che ciò sia dovuto soprattutto all’ansia di mettere da qualche parte un punto per chiudere un vecchio capitolo e cominciarne finalmente uno nuovo, di riuscire a guardare al futuro come sede di altre e più brillanti opportunità, di lasciarsi alle spalle passi falsi e intoppi che hanno caratterizzato il cammino appena compiuto, fiduciosi che la strada d’ora in poi sarà più sgombra o agevole. Il nuovo anno alle porte trascina immancabilmente con sé l’attesa per giorni e occasioni memorabili, ci riveste dell’illusione che difficoltà e ostacoli siano ormai acqua passata, ci coccola, per qualche giorno, con quell’inspiegabile certezza di poter fare spazio nella nostra vita a milioni di nuovi progetti, anche i più assurdi o complicati (ad esempio la dieta), sicuri che tutto sia realizzabile. Quando poi, diciamocelo, basta lasciar trascorrere la prima settimana di Gennaio per renderci conto che nulla in realtà è così cambiato, che i buoni propositi sono solo parole da inserire in liste già stracciate, che la nostra vita, imperfetta ma tutto sommato accettabile, è esattamente la stessa dell’anno precedente. Non preoccupatevi, avete davanti 365 giorni per deprimervi a dovere, e se fra oggi e domani, ma facciamo anche fin verso il 4 o il 5 del mese prossimo, siete invasi come me da un insensato delirio di onnipotenza e dalla frenesia di poter rivoluzionare tutta la vostra esistenza, godeteveli, non è mai detto che stavolta non portino i loro frutti. Detto questo, per siglare al meglio sul blog (oddio, spero) l’anno che sta per lasciarci ho pensato bene di riproporvi una formula che in un vecchio post aveva riscosso un enorme e inaspettato successo, e che adesso si ripresenta più adatta che mai a ripercorrere in parte il nostro 2013 insieme: un bel test (quanto vi ho fatto felici, eh?). Approfittando di queste ultime righe per farvi intanto i miei migliori auguri di un 2014 più sereno che mai, con la speranza di ritrovarvi tutti di nuovo qui l’anno prossimo, anche di più (e non preoccupatevi per un’eventuale nuova sparizione del blogger, sarei in vacanza anch’io).

Test: Conosci il 2013?

1) Qual è, secondo la rivista Rolling Stones, la migliore canzone dell’anno che sta per finire (video allegato)?  A) Get Lucky dei Daft Punk   B) Guarda che c’è scritto all’inizio del post  C) Non so/non ricordo/mi fa fatica scorrere la pagina

2) A Febbraio si tengono in Italia le elezioni politiche. Qual è la parola che ricorre più spesso per definire il drammatico risultato: A) Ingovernabilità   B) Mapporcatroia   C) Non so/non ricordo/ forse Silvio

3) A Marzo viene eletto il nuovo papa Francesco. Quanto era durato però il pontificato del suo predecessore Benedetto XVI (ancora in vita)?  A) 8 anni   B) Benedetto chi?   C) Non so/non ricordo/ma non si chiamava Wojtyla?

4) A Maggio il calciatore David Beckham annuncia il suo ritiro. Come si chiamano i suoi 4 figli avuti dalla ex – Spice Girl Victoria Adams?  A) Harper, Brooklyn, Romeo, Cruz  B) Mel C., Mel B., Emma, Geri  C) Non so/non ricordo/ H&M?

5) A Novembre New York elegge il suo nuovo sindaco di origini italiane. Chi è?  A) Bill De Blasio  B) Quello con il figlio dalla cesta immensa di capelli  C) Non so/non  ricordo/ John Frusciante?

Com’è andata? Avete indovinato qualcosa? Non vi aspettavate mica di trovare pure la descrizione di un profilo serio dopo la sconclusionatezza di un test del genere, vero? Ancora auguri.

A Natale puoi…

▶ Bridget Jones Diary – Renée Zellweger, Colin Firth Reindeer Christmas Jumper OFFICIAL HD VIDEO – YouTube.

Non mi venite poi a fare i pignoli puntualizzando che il seguente post è stato probabilmente inserito nella categoria sbagliata, cioè “moDa”. Primo, qui c’è solo una persona, cioè il sottoscritto, deputata a sistemare le cretinate che scrive dove meglio crede, e se una categoria mi rimane alla fine un po’ sguarnita, è bene rimpolparla di contenuti. Secondo, il primo consiglio che andrà a comporre l’imminente lista di accorgimenti e strategie per affrontare la giornata di domani (è Natale, lo ricordavate, vero?), un modesto ma collaudato elenco di istruzioni finalizzate al “come sopravvivere al 25 Dicembre”, riguarda proprio l’abbigliamento, se non altro per la funzione spesso “catartica” dei capi che scegliamo, a cui affidiamo il compito di tradurre il nostro (pessimo) umore. Le prossime righe saranno perciò volte a illustrare pochi, semplici mezzi per poter neutralizzare le piccole e grandi scocciature di cui è costellato ogni santo Natale, secondo modalità ovviamente estranee a un’ipotetica persona di classe o buongusto, che d’altronde non si sognerebbe mai di seguire alla lettera i miei personali consigli (come tutto il mio blog, del resto). Bene, cominciamo:

1) Siate ridicoli: sì, avete capito bene. Indossate pure quel terribile maglione di lana tutto decorato con i cristalli di neve o il disegno di una renna dalle corna ramificate all’infinito, proprio come Mark Darcy/Colin Firth nel diario di Bridget Jones (video allegato). Tanto non c’è scampo: nessuno è immune dal regalo d’abbigliamento kitsch, che vogliate oppure no vi ritroverete comunque a scartare un paio di guanti con le dita a forma di faccina, una sciarpa simile a un animale morto o un’insalata troppo rigogliosa, un cappello fluorescente pieno di trecce o nappe. Siate superiori, ironici, coraggiosi: rivestitevi tranquillamente di tutte le brutture ricevute, e vi approprierete anche di un altro spirito, elegante no di certo, ma di sicuro più divertito.

2) Siate lenti: soprattutto nei preparativi personali, impiegate ore per eventuali depilazioni, rasature, trucco, parrucco, e abbondante profumazione. Tutto il tempo che spenderete nella cura di voi stessi, del vostro aspetto (che, a Natale, deve essere impeccabile, per far schiattare d’invidia chi vedete solo una volta all’anno per le feste) è tutto tempo risparmiato per la noiosissima parentesi “scambio di auguri e di regali”, che diventerà più veloce che mai (“sai, devo proprio andare, ho fatto tardi stamani” è una scusa che funziona sempre. Poi bacetto al volo, e scia di profumo da lasciare, rigorosamente.) Allenatevi inoltre a ripetere allo specchio “Beeeneee” con un sorriso convincente e naturale. Tra tutti i parenti, amici, ex – conoscenti che incontrerete – perché, tanto, a Natale nessuno è evitabile – salterà fuori senza dubbio la domanda che non vorreste mai sentirvi rivolgere in questo periodo (del tipo “e l’amore/il lavoro/la famiglia e/o la casa, dimmi, come va?”), a cui occorre replicare per forza con un entusiasmo inesistente, senza far trasparire dal volto imbarazzo o disagio. Ecco dunque aprirsi il collegamento con la terza regola che è…

3) Siate bugiardi. Sfacciatamente. Tanto non è mica inconciliabile con il classico “tutti più buoni”. Vi consiglio solo di mentire, come ho fatto ad esempio poco fa per non farvi beccare in contropiede dai quesiti più inopportuni. Oppure con chi si presenterà – perché, statene pur certi, succederà anche a voi - corredato di regalo costosissimo o realizzato interamente con le sue mani (anche il pacchetto, e ci terrà a dirvelo) e voi non ne ricordavate neanche l’esistenza sulla faccia della terra. Inutile rimediare, con questo genere di persone, con un pensiero last minute, da comprare dove, poi, la figuraccia ormai è andata e ogni rattoppo sarebbe superfluo. Per uscirne basta esordire candidamente con “ma come, ci eravamo ripromessi niente regali quest’anno, solo beneficienza (citate anche qualche ONLUS, se ne ricordate)” e perlomeno non sembrerete dei mentecatti o avrete comunque insinuato il dubbio nel vostro interlocutore che la sua memoria stia cominciando a fare cilecca. Se tutto questo non dovesse bastare, ultima e più importante regola

4) Siate ubriachi: niente fa trascorrere più velocemente il Natale come un doppio aperitivo consumato già dal mattino presto. Fidatevi. E tanti auguri.

La prima candelina

“Sembra soltanto ieri” non mi pare l’incipit adeguato. Innanzitutto perché sarebbe di un’evidente e mostruosa banalità, caratteristica che in questo primo anno da blogger ho cercato di rifuggire il più possibile (non sempre riuscendoci, a dire il vero). In secondo luogo perché, dal 19 Dicembre 2012, data memorabile che ha visto nascere questo personalissimo e strampalato progetto, a me non sembra affatto trascorso soltanto un giorno, ma una vita intera. Anzi, vi dirò di più, a volte ho l’impressione che nella mia vita recente non abbia fatto altro: perché scrivere qui sopra per dodici lunghi mesi (con una frequenza bislacca, lo so, alternata a brevi fughe e momenti di piattezza) affidare ai miei primi 120 post (120 esatti) i pensieri, le emozioni e le vicende più varie e bizzarre succedutesi in questo anno, trovare il tempo di leggere e commentare (e apprezzare) le vostre risposte, è diventato molto di più che un piacevole appuntamento, un vero e proprio impegno continuo e gratificante, quasi un chiodo fisso. E sono io il primo a sorprendermi di aver resistito un anno, perché da persona incostante, discontinua nelle proprie passioni, perennemente di corsa dietro a fuochi di paglia, avevo aperto questo spazio online senza pensare minimamente quanto e come sarei andato avanti, se avrei trovato lo stimolo e le energie per farlo, se la delusione, la pigrizia, il tran tran quotidiano avrebbero definitivamente arrestato la mie velleità di tuttologo da strapazzo. Fatto sta che non è successo (e non saprei dire se sia un bene o male) e oggi, a 365 giorni esatti dalla pubblicazione di quel primo post che avevo scritto in pochi minuti e che aveva già caratterizzato come insensata valvola di sfogo il volto del mio blog, rimango deciso più che mai a proseguire. Merito (o colpa, se vogliamo) dei quasi 11.000 diversi utenti che hanno deciso, spinti chissà da quale discutibile impulso, di seguire, più o meno costantemente, i miei sproloqui virtuali e le mie, assai frivole, considerazioni: una folla affezionata ed eterogenea (a tratti masochista), un numero esorbitante di lettori che un anno fa non avrei neanche lontanamente immaginato di raggiungere, e che ci tengo a ringraziare con tutto il cuore (e che da oggi può continuare anche a seguirmi sul mio nuovo account Twitter, @AleTempiGuasti, sempre che riesca a capire come funzioni).

Permettetemi perciò ancora di annoiarvi con degli ulteriori, doverosi, ringraziamenti. Grazie al mio pazientissimo amore, che si irrita solo a sentirsi definirsi tale su questo blog e che troppo spesso, a suo avviso, chiamo in causa nei miei racconti (e che si è degnato di manifestarsi solo in un paio di striminziti commenti). Grazie alla mia famiglia, i miei genitori e mia sorella, che mi offrono di frequente, inconsapevolmente, materiale prezioso a cui attingere per il contenuto dei miei post. Grazie a Valentina, insostituibile e fondamentale supporto tecnico nella gestione pratica di questo blog, con cui troppe volte mi sono scontrato. Grazie a Carla e massiva006, i miei commentatori più fedeli, che, ci tengo a chiarire, non ricevono alcun compenso per l’assiduità dei loro interventi. Grazie a Giuseppe che mi scrive subito dopo la pubblicazione di ogni post segnalandomi errori (anche grammaticali) e refusi e mi evita così la figuraccia dell’ignorante. Grazie a Claudia, che è comparsa in ben tre dei miei diversi pezzi, sintomo preoccupante che la nostra frequentazione sia diventata un’amicizia a tutti gli effetti. Grazie a Serena, Loredana, Giulia, Annarita e Sara, che condividono con una rapidità da guinness i link del mio blog che vado spargendo come volantini su ogni social a cui sono iscritto. Grazie a Silvia, alias lascottotour, che è l’unica a cui abbia censurato alcuni commenti (e sai bene il perché). Grazie ad Andrea, che sua moglie Chiara obbliga a leggere questa pagina ad ogni nuovo aggiornamento (anzi, forse sarebbe meglio ringraziare Chiara). Grazie a Caterina, che costringe i suoi studenti (in cambio di qualcosa?) a votarmi nel concorso di Grazia.it a cui sono iscritto. Grazie ad Ilaria, che quando va in vacanza, senza avere internet, si stampa in anticipo i miei post per poi poterli leggere in tranquillità (no, dico, ti rendi conto?). Grazie ad Antonino, che tenta, invano, di convincermi a girare dei video, perché nei miei scritti teme che io possa apparire più presuntuoso che nella realtà. Grazie a Gabriella, a cui va il premio “reazione inaspettata” per aver un giorno voltato le spalle e abbandonato il pc dopo la lettura di un mio post. Grazie a Martina, che so esporsi con difficoltà qui sopra, ma che non rinuncia comunque a farlo. Grazie a Chiara, Simona e Paola per i loro complimenti e le loro affettuose e.mail. Grazie a Roberto, che avevo salutato con la promessa che avremmo prima o poi collaborato, ma che l’impegno, sempre crescente, di questo blog, ce l’ha, al momento, impedito. Grazie ad Adriana, Daniele, Elena, Eleonora, Enrica, Fabiana, France, Fruffrù, Monica, Raffaele, Stefano, Viola e tutti gli altri miei commentatori, qualcuno dei quali avrò sicuramente dimenticato e che qui sotto scriverà furibondo “non m’hai ringraziato!”. Grazie a quanti, durante tutto quest’anno, ho conosciuto, incontrato, rivisto e sono diventati, loro malgrado, fonte d’ispirazione per i miei post.

Grazie infine a tutti coloro che non conosco personalmente e che comunque hanno avuto il fegato di transitare in questi mesi sul mio blog. Grazie al mio fedele lettore americano che riesce sempre per primo a cliccare il “mi piace” di Facebook (potrei sapere almeno chi sei?). Grazie al mio utente israeliano che con la sua costante presenza ha fatto sì che il suo paese risultasse tra i più attivi nella classifica internazionale. Grazie a chi ogni giorno compare, in maniera anonima, e che giustamente, ci tiene a tenere nascosta la propria identità (venisse scoperto a leggere questi pezzi, sai che vergogna). Grazie ai due hacker che sono riusciti a intrufolarsi nella pagina di gestione, senza creare danni per fortuna, e che mi hanno obbligato a scegliere una password così complicata, che perfino io talvolta non riesco ad accedere al mio stesso blog. Grazie a chi è capitato per sbaglio perché cercava altro su un motore di ricerca, come “pareri autorevoli sugli abiti firmati” (chissà che delusione una volta giunto qui), “ridare vita a un maglione infeltrito” (suggerimenti utili?) oppure, ed è la mia preferita, “escort specializzate in anziani” (esistono sul serio?). Grazie, grazie a tutti voi, perché è solo grazie a voi, che i Tempi Guasti, (purtroppo?) continuano.