Dimmi come ti chiami…

“E’ nato? Ah, femmina? E come la chiamano? Roberta? NORBERTA? Ma che nome è Norberta? Non mi piace, no, per niente, è brutto…povera creatura!”. La signora seduta di fronte a me in treno, mèches impeccabili e troppe perle a ricoprire una banale maglia corallo, appartiene alla tipologia di passeggeri con cui non vorresti mai viaggiare, quelli che ci tengono a rendere tutto il vagone partecipe delle proprie conversazioni telefoniche. Normale perciò che quel nome discutibile, scandito a un volume non proprio contenuto, abbia suscitato, comprensibilmente, una silenziosa e solidale riprovazione affiorata in tutti gli sguardi degli altri occupanti, che tentavo invano di evitare. Poche sillabe urlate che hanno risvegliato una collettiva e simultanea reazione fatta di occhi improvvisamente spalancati, teste che si scuotevano nell’aria a disegnare un “no”, piccoli sbuffi o risatine impossibili da soffocare. La mia mente bislacca naturalmente, era andata già oltre: immaginavo quell’ignara bambina, divenuta un’adolescente ribelle, arrovellarsi ogni giorno, maledicendo i propri genitori, nel tentativo di scovare un nomignolo o un’abbreviazione graziosa in grado di sostituire quella sadica scelta, che non suonassero però altrettanto orrendi, anche se Norby o Berta non mi erano sembrati al momento così convincenti. Perché poi, per rovinare l’esistenza dei propri figli, ci vuole un attimo: basta una decisione bizzara o la volontà di apparire a tutti i costi originali o creativi, e voilà, ti ritrovi tutta la vita a trascinarti un nome che detesti e che diventerà il tuo tormento ripetuto all’infinito sulle labbra di chiunque incontrerai. Io l’ho scampata per poco: mamma, folgorata da Signorsì, primo romanzo di Liala (non c’entra nulla, ma, ora che mi viene in mente, tra gli insulti  fantasiosi con cui nel tempo sono stati stroncati i miei testi c’è anche “scrivi come un incrocio fra un verbale dei carabinieri e un romanzo di Liala”. Non proprio carino, ma pittoresco, quello sì), voleva battezzarmi proprio come il suo protagonista, un avventuroso aviatore, Furio. Nome che a me fa venire in mente solo l’ossessivo e precisino personaggio di Verdone: per fortuna babbo, in uno di quei suoi rari slanci propositivi, o forse spinto dal senso di colpa per l’eredità di un cognome facile bersaglio di future prese in giro, che ho imparato col tempo ad anticipare, se la cavò con un “se lo chiami Furio non te lo riconosco” e così optarono serenamente insieme per Alessandro.

Che, al di là dello splendido significato (salvatore o protettore di uomini, anche se non ricordo di avere mai salvato o protetto neanche una formica) è sempre stato piuttosto diffuso; in ogni classe che ho frequentato a scuola ad esempio ce n’erano almeno altri due o tre, più un paio di Alessio/a. Così succedeva spesso che ad ogni ‘Ale’ urlato da chiunque nel cortile ci si voltasse minimo in quindici, ragion per cui io finivo immancabilmente per essere etichettato come “quello scuro” oppure “quello basso”, o, più spesso e volentieri, Guastino. Persone a cui è andata forse in maniera peggiore ne ho conosciute diverse. Una stravagante compagna di università, ad esempio, origini siciliane, capelli cortissimi rosso fuoco e un numero imprecisato di piercing, che si era presentata a noi tutti, e solo così pretendeva essere chiamata, con cinque semplici lettere, Sassa. E se non fosse stato per il nostro docente di filosofia antica, dal buffo accento tedesco, che un giorno decise a sorpresa, durante una lezione, di fare l’appello degli iscritti, sarei forse invecchiato con la convinzione che il vero nome di Sassa fosse in realtà Sabrina o Samuela, e non di certo, come risultò invece essere, Crocifissa. Tra le cause principali di certi, irreparabili, danni, proprio la devozione religiosa ha da sempre avuto la sua parte (generando perle come Fede o Luce), al pari di alcune inevitabili tradizioni familiari (“sai, era il nome di mio nonno, c’avrebbe tenuto”) oppure di uno spiccato gusto per l’esotismo (del tipo Jonathan o Swami) come infine l’improvvisa fascinazione per alcuni personaggi televisivi (ricordo di aver conosciuto a suo tempo anche un Sandokan). Senza dimenticare poi che sono soprattutto gli stessi esponenti del mondo dello spettacolo a dare il meglio di sé quando si tratta di scovare un nome inconsueto per la propria prole. In questi giorni, alla schiera delle varie Lourdes Maria (figlia di Madonna, tanto per tornare in tema di religiosità), Apple (figlia invece degli, ormai ex, Gwyneth Paltrow e Chris Martin), Chanel (Totti) e Suri (Cruise) si è infatti aggiunto Maddox Prince, primogenito dell’ex – velina Melissa Satta e del calciatore ghanese Kevin Boateng; scelta a metà tra un supereroe dei fumetti e un medicinale per il bruciore di stomaco. Nomen omen, recita un vecchio motto latino: il destino è già scritto nel nome. Un destino che, in questi casi, può soltanto migliorare.