Adieu finesse!

Toni Servillo manda affanculo la speaker di RAI News 24 – YouTube.

Sia ben chiaro, non sono tra coloro che considerano il valore dell’educazione, in pieno terzo millennio, alla stregua di un accessorio inutile o demodè, lo scomodo retaggio di un passato da cui occorre liberarsi, una consuetudine oggigiorno ingombrante oppure superflua. Cresciuto da genitori non esattamente severi ma senza dubbio rigorosi in certi precisi dettami, mi era sufficiente una loro occhiata, pari ad un “a casa facciamo i conti”, per capire la fondamentale importanza di rispondere sempre e cortesemente con “grazie” o “prego” in determinate circostanze, di contraccambiare sorridente il saluto di chicchessia, di dare obbligatoriamente del lei alle persone sconosciute o più mature, scontrandomi con la mai del tutto superata difficoltà di dover coniugare i verbi in terza persona. Certe formalità, sottolineo necessarie e basilari regole di convivenza civile, rimangono a dire il vero anche l’ultimo baluardo in cui si rifugiano i miei rimasugli di timidezza, le uniche occasioni in cui riesco ancora a manifestare a tratti un disagio, che emerge nella lingua ben piantata tra i denti, talvolta causa di ridicoli balbettii. Perché se da un lato, dal mio personalissimo punto di vista, l’educazione incarna innanzitutto il metro con cui misuro la gentilezza altrui e la piacevolezza di un primo incontro o della prima impressione riguardo a una nuova conoscenza, dall’altro si trasforma ben presto in una zavorra di cui provvedo a liberarmi all’istante, nel momento in cui diviene maggiore la confidenza o l’intimità con la persona in questione. Mi spiego meglio: ritengo che rivolgersi con garbo e distaccato rispetto, nelle parole e nei modi, sia doveroso e maggiormente indicato quando abbiamo a che fare con gli estranei, soprattutto nelle più complicate dinamiche che scandiscono un rapporto professionale, mentre possiamo fare anche a meno di troppi “per favore, scusami, figurati”  che a lungo andare rischiano di trasformarsi in un ulteriore ostacolo alla crescita di una ricercata familiarità o di un’amicizia sincera. I miei (non troppi in realtà, ma buonissimi) amici veri, possono per esempio scherzarci su etichettandomi come brutale, sgarbato o rozzo (e vi risparmio i miei soprannomi in merito) nel dire ciò che penso senza troppi giri di parole, ma apprezzano di sicuro il mio approccio diretto nel fornire un parere o nell’esprimere un concetto, del tutto esente, credetemi, da carinerie di facciata o da pillole indorate. E qui finalmente, dopo quella che ritenevo essere una semplice premessa (ma che mi ha occupato invece quasi tutto lo spazio del post) arrivo al nocciolo della questione: il ruolo della parolaccia. Perché può infastidirci, stufarci, per giunta indignarci l’eccesso di aggressività verbale, la volgarità gratuita, l’insulto pesante e non sempre necessario. Può sorprenderci, annoiarci, stufarci il dover constatare arrendevolmente che, dovunque, dalla politica allo spettacolo, non c’è più alcun territorio rimasto immune dal potere dilagante del turpiloquio. Va anche detto però che certi termini, certe locuzioni, certe espressioni, in quanto a immediata comprensibiilità, potere di spiazzamento ed efficacia, per quanto triviali, sono e rimangono insostituibili. Ecco, ammettiamolo, possiamo affannarci a definire quanto vogliamo una collega o una conoscente spregevole una “strega”, ma quando finalmente arriviamo a darle della “stronza”, lo sentite da voi, è già tutta un’altra musica. Possiamo perfino tentare il più mirabolante sforzo di fantasia per studiare un altro luogo dove poter inviare il nostro nemico occasionale, che sia un’alternativa ai ben più banali “vai al diavolo” o “a quel paese”. Ma quando ti becchi un sonoro “vaffanculo”, al momento giusto, non esiste altro invito così disarmante ed esplicito al quale, per di più, risulta praticamente impossibile replicare. Lo ha imparato, a sue spese, in diretta, la povera giornalista di RAI News 24 che, nel tentativo di avanzare delle (legittime?) critiche, in un collegamento telefonico, all’attore Toni Servillo (video allegato), reduce dalla vittoria ai Golden Globes del film “La grande bellezza”, si è sentita apostrofata dallo stesso con un inequivocabile “vaffa” (seguito da un, altrettanto comprensibile, “sta cretina”). Una risposta sgarbata, forse inopportuna, sicuramente maleducata; ma che, nel contesto così compassato come lo svolgimento di un tg, assume il sapore di una replica diretta e viscerale, profondamente umana, una reazione che incrina inaspettatamente il clima di artificiale formalità. Un siparietto imprevisto che avrà causato, di sicuro, la perdita di qualche fan al bravissimo interprete, ma che mantiene comunque un suo lato innegabilmente divertente. E chissenfrega delle buone maniere. O se preferite, e “‘sti cazzi!”.