Hot hits

▶ Dirty Dancing – Time of my Life (Final Dance) – High Quality HD – YouTube.

D’accordo, ammettiamolo subito, ricorrere al sesso come specchietto per le allodole, nello squallido tentativo di traghettare qui qualche visitatore in più, tra la generale sconclusionatezza di questo spazio virtuale, è una piccola furbata, neanche poi così originale, che si va però ad aggiungere alle numerose cadute di stile di cui è già ampiamente costellata la presente pagina. Ma al blogger insabbiato da tempo in una prolungata fase di stanchezza creativa, complice il numero ormai consistente di post già pubblicati (oltre 200) e la scarsa energia sopravvissuta alle fatiche di un inverno rocambolesco tuttora in corso, non è purtroppo venuta in mente alcuna trovata più geniale che quella di rispolverare un vecchio e conosciuto trucchetto, chissà se abbastanza efficace, nella vana speranza di risollevare le sorti della propria creatura online in un innegabile momento di ristagno. Operazione che a me ricorda tanto l’idea di quello scaltro studente universitario che, in un attimo di brillante disperazione, aveva appeso sulla parete della mia facoltà, tra decine di annunci perennemente ignorati per la ricerca di una camera in affitto, anche il suo, riuscendo però a far circolare ovunque il proprio numero per aver apposto la semplice scritta “SESSO. Ora che ho attirato la vostra attenzione, starei cercando casa”. O perfino i discutibili consigli del regista del programma tv per il quale lavoravo, che in più di un caso era arrivato a suggerirmi “se il servizio è venuto fuori fiacco, aggiungi a piacere una delle tre S, Soldi, Sangue o Sesso, tanto è solo questo che vuol sentire la gente!”. Episodi a cui ho ripensato proprio negli scorsi giorni quando, con tutto lo stupore del caso, ho ricevuto una pioggia inarrestabile di “like” e di maliziosi commenti sulla mia pagina Facebook, per aver semplicemente narrato le prodezze amatorie dei miei vicini di casa, a quanto pare impegnati in un chiassoso week-end di passione, mentre io m’ingozzavo di schifezze nella solitudine dell’appartamento accanto, e loro rumoreggiavano beatamente, in un’escalation di singulti e di mobili spostati di continuo, che aveva sul serio dello strabiliante e dell’invidiabile.

Ragion per cui, aspettando con ansia i vostri commenti in proposito, mi accingo a  riportare qui di seguito i risultati di una recente classifica scovata in rete e che ha sollevato diverse perplessità, non tanto per la sua natura, piccante senza dubbio, ma oserei dire anche singolare, quanto per l’inserimento di alcune scelte non del tutto condivisibili. Si tratta dell’originale playlist di brani musicali, stilata dal celebre canale streaming Spotify, che elencherebbe tutte le 20 canzoni più ascoltate durante il sesso (http://www.gqitalia.it/lifestyle/beauty-lifestyle/2015/01/19/spotify-rivela-20-canzoni-ascoltate-durante-sesso/), eseguita su un campione rappresentativo di 2000 persone, metà uomini e metà donne. E se non stupisce trovare in vetta, soprattutto per chi appartiene alla stessa mia generazione dei 29enni recidivi, l’intera colonna sonora di Dirty Dancing (video allegato), evocativa dei sensuali movimenti di bacino del rimpianto Patrick Swayze, dell’indubbia atmosfera peccaminosa del film e in principal modo di tutti i coraggiosi o penosi tentativi di emulazione della presa finale del balletto (che a questo punto mi viene il dubbio abbiate provato a replicare anche nella vostra intimità), tutte le altre canzoni presenti sono, a dire il vero, piuttosto curiose. Si va da un inaspettato terzo posto occupato da un classico come il Bolero di Ravel del 1928, forse presente per il suo crescendo musicale che ben si accompagnerebbe al ritmo libidinoso di certe performance, a un’impensabile My heart will go on di Celine Dion, quella del Titanic per capirci, giunta ottava, e magari adatta a chi ama cimentarsi in fantasie del tipo “facciamo io Rose tu Jack avvinghiati sulla prua?” (sconsigliabile, mi raccomando, la scena del naufragio, se non altro per l’epilogo drammatico). Sconcerta anche il decimo posto in cui si piazza I will always love you di Whitney Houston, brano fra i più romantici di sempre, ma insomma, in quanto a grinta ecco, è forse preferibile la versione country originale di Dolly Parton, se non altro per qualche energico colpo di chitarra in più, che in certi momenti non guasta. Stupisce soprattutto che a chiudere la classifica sia l’ennessima colonna sonora tratto da un altro film epocale come Star Wars, quella marcia solenne su cui in genere scorre il racconto introduttivo di ogni episodio, fra storie di regni perduti e battaglie planetarie: adesso, è venuto anche a voi il dubbio che quella maschera da Dart Fener tenuta dai vostri amici a casa non venga indossata solo a carnevale?

Talenti serpenti!

Nicki Minaj – Anaconda – YouTube.

Eppure qualcuno dovrebbe davvero prendersi la briga di spiegare a Gianni Belfiore, storico paroliere di artisti come Fred Bongusto e Raffaella Carrà, ma soprattutto stretto collaboratore di Julio Iglesias, autore di alcuni suoi indimenticabili successi come Manuela e Se mi lasci non vale (è stato lui, con quel suo verso un tantinello criptico “se un uomo tradisce, tradisce a metà” a fornire a lungo l’alibi a milioni di fedifraghi impenitenti), che i tempi sono, ahimè, drasticamente cambiati, che ci troviamo ormai, volenti o nolenti, nel 2014, e che per cantare passione e desiderio occorre abbandonare del tutto quei toni dolciastri da telenovela sudamericana, a cui c’avevano appunto abituato le struggenti interpretazioni di Julio. Perché nei giorni scorsi, proprio mentre lo stesso Belfiore ci teneva a rendere nota pubblicamente, attraverso le pagine di una celebre rivista di gossip, la sua ultima fatica in musica, il brano Immagine, nelle intenzioni pensato per la voce nostrana di Cesare Cremonini e del tutto inaspettamente ispirato al fascino un po’ altezzoso di (tenetevi forte) Maria Elena Boschi, il nostro attuale Ministro per le Riforme Costituzionali, a spadroneggiare invece fra le ultimissime news musicali è stata la contemporanea uscita di un pezzo (accompagnato da relativa e scandalosa performance live) di tutt’altro e più esplicito genere. Due canzoni impossibili da paragonare, tale e abissale è la differenza tra rime garbate come “sei come la compagna di scuola del liceo, il simbolo dell’amore dove il sesso si fa reo” tratte dal testo di Belfiore, a cui va comunque il merito di restituire alla perfezione quell’aria da crocerossina spedita al fronte (che tanto sembra piacere agli uomini) della Boschi, e il testo di Anaconda, ultimo e (credetemi) inarrestabile successo della rapper statunitense, originaria di Trinidad, Nicki Minaj (video allegato), forte di un ciclico ritornello a luci rosse, intonato da una voce maschile, che afferma senza mezzi termini “my anaconda don’t want none unless you got buns (qualcosa tipo “la mia anaconda non vuole nessuno che non abbia le chiappe”!). Insomma, anche in questo caso, l’anaconda non è un serpente, si potrebbe aggiungere parafrasando Kobra, il celebre brano della Rettore, a suo tempo la prima interprete colpevole di essere ricorsa in una hit alla furbizia di doppi sensi col mondo dei rettili ma che, rispetto alle attuali e fin troppo palesi allusioni della Minaj, il cui video in questione ha comunque ottenuto, fino adesso, oltre 120 milioni di visualizzazioni solo su YouTube (capito, sì?), sui paragoni zoologici c’era andata un po’ più cauta. A quanto pare però la volgarità rende: e per rincarare la dose, la procace rapper, già collaboratrice in passato di star del calibro di Mariah Carey, Rihanna, Madonna, ha pensato bene di riproporre la cliccatissima coreografia osè del video (seppur privata di quel contorno di banane, panna montata ed altri espedienti culinari da film di Pierino) sul palco degli MTV Music Awards 2014, tenutisi lo scorso 24 Agosto in California, riuscendo così ad ottenere un ritorno mediatico maggiore anche di quello della stessa Beyoncé, trionfatrice della serata, e ad essere indicata, dopo Miley Cyrus, come la nuova reginetta musicale dello scandalo. Titolo per aspirare al quale, a questo punto, sembra non ci voglia poi molto: scoprire e dimenare il più possibile il proprio fondoschiena (meglio se piuttosto abbondante), preferibilmente sulle note di un brano piccante e inneggiante al sesso. Che in musica è sempre stato un pensiero frequente. Che diventa invadente (ma quanto era geniale la Rettore?).

(Troppo?) Sexy Bar

Hoodies – Bar Refaeli // הודיס // בר רפאלי ורדבנד ***הגירסה המלאה והלא מצונזרת – YouTube.

“Io no, non potrei mai! Avrei tutti i capelli in disordine!” mi urla nell’orecchio una simpaticissima amica di amici, di cui, spiacente, non ricordo neanche il nome, mentre il fastidioso volume della musica martellante selezionata (a caso?) dal dj nel locale mi impedisce di proseguire più tranquillamente la nostra conversazione. Il tutto nonostante fossimo proprio l’uno accanto all’altra, poche sere fa, in uno di quei rari momenti in cui ti senti così predisposto alla sociabilità da diventare, quasi subito, non solo il migliore amico degli amici di amici, ma il migliore amico di qualsiasi persona o cosa ti graviti intorno in quel preciso istante, direi il miglior amico dell’universo in generale. “E tu?” ritenta imperterrita la fanciulla, per nulla scoraggiata dal chiasso infernale di tutta la folla lì presente e ballonzolante al ritmo di una qualche hit a me sconosciuta, “Neanch’io, credo!” le rispondo, a gran voce, “ma non esattamente per lo stesso motivo!”. Il nostro allegro scambio di opinioni, tra l’incomprensibile e il surreale, era in realtà partito dalla richiesta della mia nuova conoscenza (devo farmi ridire il suo nome, prima o poi) che suonava più o meno “ci facciamo una foto insieme, così poi la condivido?”, a cui avevo immediatamente risposto, fermo e cordiale come al solito “ma non ci penso proprio!”, e lei, di nuovo, “eddai, mica la pubblico con l’# (leggasi hashtag) aftersex!”. Che cosa? “Davvero non ne hai mai sentito parlare?”, mi domanda quindi, e a quel punto, solleticata di brutto la mia curiosità, tento di ottenere da lei le prime informazioni necessarie per il post che state appunto leggendo. Se siete su Instagram, applicazione nata per ritoccare le immagini scattate col cellulare, poi divenuta un social network a tutti gli effetti, probabilmente vi sarete resi conto ben prima di me, della crescente popolarità dell’hashtag (cioè l’asterisco “#” usato per introdurre e radunare i grandi temi, come su Twitter, in cui è suddiviso il vario materiale pubblicato) aftersex. Che altro poi non sarebbe che l’evoluzione naturale dell’onnipresente e narcisitica manìa del selfie, il passo successivo cioè alla frivola e imperante moda dell’autoscatto, il quale questa volta andrebbe però realizzato necessariamente in coppia, dopo un romantico (forse) e/o soddisfacente (spero) rapporto sessuale. In altre parole gli amanti di ultima generazione, quelli cioè cresciuti soprattutto a pane e tecnologia, preferirebbero di gran lunga, dopo le fatiche dell’amplesso, al posto della più classica sigaretta, di dolci coccole o della lusinghiera richiesta di un bis (o talvolta, del necessario sonnellino ristoratore) ricorrere invece velocemente alla fotocamera del telefonino, per immortalarsi proprio nel relax dei minuti post-orgasmici, al fine di condividere poi, universalmente, l’intimo e inequivocabile scatto (http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/02/foto/lo_scatto_dopo_il_sesso_su_instagram_aftersex-82560967/1/#1). Adesso, per quanto liberi tutti di disporre e di servirci delle nostre immagini come meglio riteniamo, rendiamoci conto che, se la smania di esserci e di apparire sembri sempre contare, in maniera preoccupante, molto più della stessa privacy, anche a un più semplice livello estetico, non si tratta proprio di attimi in cui il nostro aspetto è al massimo della forma. Voglio dire, sarà spesso piacevole, talvolta fantastico, perfino indimenticabile, ma il sesso, lì per lì, non abbellisce le fattezze di nessuno, anzi: e se vi occorresse ancora un esempio in tal senso, vi basti osservare la locandina dell’ultimo, scandaloso film di Lars Von Trier, Nymphomaniac, in cui anche i volti noti di fior di attori e sex – symbol (figuriamoci quelli di noi comuni mortali) sono trasfigurati dal piacere fisico in sgradevoli smorfie di lussuria. Ma come spesso accade, non è sempre il buongusto a decretare il successo o meno di una moda collettiva: ne sa qualcosa l’israeliana Bar Refaeli, top model famosa soprattutto per una passata e turbolenta relazione con Leonardo di Caprio, adesso protagonista, al fianco di un pupazzone color violaceo – cianotico, simile ai più celebri Muppet, di uno spot per intimo maschile, che sembra proprio cavalcare l’onda scandalosa dell’aftersex (video allegato). Con la differenza che la sensuale e biondissima Bar, che compare nel minuto scarso del medesimo video addirittura “triplicata” per soddisfare i sogni erotici del buffo compagno, si è vista coinvolgere nell’accusa di sconvenienza piovuta sullo stesso spot, il quale difatti può essere trasmesso, in Israele, soltanto in tarda serata, dopo le 22. Mentre, i risultati meno ironici, più trash, per non dire tragicomici, di certi scatti amatoriali presenti sui social, non sembrano al momento conoscere censure, né di orario, né di mezzo: e se non fosse per l’innegabile aspetto democratico del web, a cui siamo tanto riconoscenti, ci verrebbe da aggiungere purtroppo.

Sex post

“Posso farti una domanda?” mi chiede a bruciapelo, dopo una cena cinese ricca e insolitamente raffinata, Claudia, la mia amica chiassosa, scoppiettante e altruista come solo alcuni partenopei sanno essere, assumendo proprio tutta l’aria di chi sta per metterti k.o. con un quesito scomodo, di quelli a cui non vorresti mai rispondere. “Certamente” le replico io, ricorrendo a quelle dosi di finta disinvoltura di cui mi sono armato durante la mia esistenza da ex-timido, e pensando “stai a vedere che ora mi rovino anche la digestione, peccato, le costolette di maiale con spezie del Sichuan erano eccezionali (devo dedicare un post a questo ristorante, prima o poi)”. Ed ecco infatti, dopo il mio cordiale permesso, esplodere come un ordigno tutta la potenza della sua indiscrezione “Perché nel tuo blog non parli mai di sesso?”. Eh? Ho capito sicuramente male. Spiazzato, riempio un nuovo bicchiere di grappa di riso, lo bevo tutto d’un sorso e indifferente alla gola in fiamme e al rossore ormai dilagante sul mio volto balbetto qualcosa del tipo “Possibile? Non c’ho mai fatto caso. Ma sei proprio sicura?”. “Si, sicurissima. Pensavo ci fosse una ragione”. No, a dire il vero non c’è. Almeno non una anche solo vagamente convincente che sia riuscito a fornirle quella stessa sera a tavola, anche se per fortuna, ho potuto dare la colpa alla citata bottiglia di grappa, che ha continuato a farci compagnia durante la nostra conversazione. L’indomani però mi riprometto di trovarmi a quattr’occhi con il mio blog per passarlo letteralmente al setaccio, ne rileggo avidamente tutti i post passati, lo rigiro e lo rivolto in lungo e in largo, cerco, frugo, rovisto. Trovo talvolta frasi infarcite di doppi sensi, allusioni neanche troppo velate, battute più o meno sottili, alcune al limite del volgare (certo che quando mi ci metto riesco ad essere proprio cretino). Però post che affrontino per intero e direttamente l’argomento “sesso”, non dico in maniera seria (aggettivo che del resto mal si addice alla natura frivola di questo spazio come all’indole del suo autore) ma perlomeno più approfondita o esclusiva neanche l’ombra. Beh, Claudia aveva ragione: non era tanto questo a lasciarmi incredulo e confuso (ok, anche questo, lo ammetto), quanto il non aver mai avvertito l’esigenza di scrivere qualcosa al riguardo. Perché?

Eppure non credo di potermi definire una persona refrattaria alla materia bollente di cui stiamo parlando (e meno male) né, a dire il vero, particolarmente inibito o bacchettone. Non ritengo neanche che il sesso sia, oggigiorno poi, questo insormontabile tabù, anzi, mai come nella nostra epoca vive un momento di così capillare sovraesposizione mediatica, di facile reperibilità su ogni tipo di mezzo (basti pensare al web), di onnipresenza nell’immaginario quotidiano tale da sbucar fuori anche quando non richiesto o non così necessario. Non grido infine allo scandalo di fronte a corpi esibiti ovunque seppur in maniera superflua (semmai posso ammirarne la bellezza o criticarne gli esiti patetici), non mi imbarazzano i commenti o i resoconti di chi ci tiene a divulgare nei dettagli le proprie acrobazie amatorie (che ascolto con lo stesso scetticismo di chi narra la grandezza delle sue prede di pesca), non mi tiro mai indietro neppure dinanzi alle domande più intime, indiscrete o esplicite degli amici (sì Michele, mi riferisco proprio a te). Parlare apertamente di sesso, giocarci su, sottintenderlo maliziosamente alla fine, nella vita, mi diverte e non mi crea alcun tipo di problema: scriverne, ahimè, è tutta un’altra storia. E lo dico da lettore prima che da blogger: perché i numerosi libri, le storie, le migliaia di racconti incentrati sul sesso, sono, nel 90% dei casi, di una noia e di una prevedibilità mortali. Fatta la dovuta eccezione per quei pochi, indiscussi, capolavori, della letteratura erotica e non solo (Anais Nin e Marguerite Duras, tanto per citare i primi di cui, a memoria, rimasi incantato) il resto delle pubblicazioni e dei testi che tentano di far maggiormente presa sul pubblico, a volte con successo, ricorrendo alla narrazione delle avventure passionali (come il fortunato esordio di Melissa P. con i suoi Cento colpi di spazzola, abbandonato dal sottoscritto, vinto dagli sbadigli, a pagina 10) si muovono su un terreno rischiosissimo. Perché, per rendere giustizia con le parole al piacere fisico, bisogna saper evocare piuttosto che fotografare, alimentare fantasia e desiderio senza indugiare nei particolari, perché l’eros vissuto da spettatore e non da attore percorre la strada dell’insinuazione e non del minuzioso realismo. Come potrei mai riuscirci qua sopra? E soprattutto, vi pare che stavolta sia riuscito a scrivere di sesso? Io dico di no.