Coccole e cervello

La maggior parte dei miei amici ormai si è rassegnata. L’altra, quella cioè che prova ancora ad oppore un’inutile resistenza alle mie smancerie, prima o poi sarà costretta a capitolare. Perché non esiste alternativa: posso trattenermi dal parlare al telefonino con la voce sparata a troppi decibel come se chi mi ascoltasse dall’altra parte fosse in realtà in vetta all’Himalaya e non nella stessa nazione. Posso moderare (ma non troppo) in pubblico la mia risata sguaiata, grazie alla quale, negli anni scolastici, ho saltato quasi la metà delle lezioni perché buttato fuori dall’aula senza troppi riguardi (continuando però a ridere). Posso perfino evitare di attaccare bottone con tutto e tutti: la mia dolce metà, che, a ragione, ironizza sulla mia proverbiale capacità di parlare anche ai muri (e che ormai non si stupisce più di quando tutti i venditori ambulanti o gli zingari della città mi salutano per nome o con un “Ciao, grande!”) proprio l’altra sera ha assistito inerme all’ennesima chiacchierata di un’ora con una coppia di sconosciuti in attesa come noi di un tavolo al ristorante, partita dalla loro innocente confessione di essere clienti abituali del posto. “Simpatici, non trovi?” ho provato ad aggiungere al momento dei saluti, “Li hai sfiniti” mi ha replicato “credo siano fuggiti per paura di dover cenare con noi!”. Dicevo, ho un’infinità di difetti trascurabili (o quasi), che con l’impegno e la sopraggiunta maturità (risate) riesco però a stemperare o mitigare quando mi rendo conto che no, non è proprio il caso di esternare fino in fondo la mia natura incontenibile. Ma se per caso, come avviene in numerosissime occasioni, capita mi affezioni o che nasca una sincera amicizia, non posso farne a meno: divento terribilmente appiccicoso. E’ proprio una necessità fisica: sarò forse invadente e talvolta inopportuno, ma se mi trovo con una persona a cui voglio davvero bene nasce in me l’irrefrenabile l’impulso di abbracciarla spesso, prenderla sottobraccio mentre si passeggia, salutarla sempre col bacino su entrambe le guance e via con tutto il repertorio di tenere cretinate. Il fatto è che dovrei anche rispettare chi è del tutto estraneo a simili slanci: non di rado succede che alcuni dei miei migliori amici, senza scomporsi o manifestare fastidio di fronte alle mie attenzioni semimorbose, si irrigidiscano però come baccalà. Ovviamente li capisco. Fatevene però una ragione: mi fa bene all’umore, sul serio. E vi dirò di più: è scientificamente provato. Risale infatti solo a ieri la notizia della scoperta dei neuroni specializzati nel riconoscere la sensazione di benessere che scaturisce dalle carezze e dagli abbracci (http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/scienza/2013/01/31/Scoperti-neuroni-coccole_8169131.html) come sostiene un gruppo di ricercatori del Caltech, l’Istituto di Tecnologia della California, che ha pubblicato i risultati di questo singolare studio sulla rivista Nature (http://www.nature.com/). In realtà questi meccanismi neuronali che traducono in piacere i gesti d’affetto sono stati per il momento individuati soltanto nei topi (vuoi vedere che c’è uno studio approfondito dietro lo “Strapazzami di coccole” di Topo Gigio?), ma non è escluso che siano comuni a tutti i mammiferi. Che aggiungere? Intanto credo di aver trovato un buono spunto di riflessione. O almeno, un alibi più che valido per chi, come me, soffre di esagerata espansività.