Dolce dolore

Miele – Clip – Seduzione – YouTube.

L’unico vantaggio dei fine settimana spesi a fare i conti con i capricci del tempo, aspettando uno spiraglio di sole che forse non giungerà mai (ma non demordi perché è week-end, e il cielo te lo deve) risiede nella capacità di riuscire poi a ignorare il mancato sereno, che riesploderà di sicuro il lunedì, per riappropriarsi invece del piacere delle piccole cose viste come imprese insormontabili durante i giorni lavorativi. Concludere ad esempio, tra un pisolino e l’altro, quel libro ormai diventato parte dell’arredo del tuo comodino insieme alla sveglia, pranzare con un panino e un bicchiere di vino (come in “Felicità” di Al Bano e Romina) nella graziosa piazzetta di un borgo medievale dove il tempo pare immobile da secoli, sorridere e commuoversi allo stesso tempo, quasi in preda alla schizofrenia, nel buio di una sala, per la visione inaspettata di un ottimo film. Una pellicola che da semplice spettatore vi invito però a guardare, per alcune valide ragioni: 1) è un film italiano, tra l’altro presentato in questi giorni al Festival di Cannes, una storia toccante, che dietro l’apparente freddezza di registro arriva ad investirti in pieno come un pugno nello stomaco 2) è il film che segna il debutto dietro alla macchina da presa di Valeria Golino, di cui c’eravamo già occupati, non come regista, né come attrice, ma come testimonial di una campagna di Greenpeace (e così trovo il modo anche di citarmi nel mio stesso blog, non è fantastico? http://www.tempiguasti.it/?p=324)  3) è un film che affronta, senza pregiudizi né inutili appelli alla compassione, un tema scomodo, forse l’ultimo dei temi tabù rimasti nella nostra società, quello dell’eutanasia. E lo fa attraverso la storia di Irene, ragazza dall’aspetto rude e quasi mascolino, tutta giacche di pelle, i-pod e sport faticosissimi, divisa tra un minuscolo appartamento sul mare e il resto dell’Italia, dove si muove con piglio e disinvoltura, per portare il suo lavoro, quasi una rigorosa missione, ai limiti della legalità, quella di porre fine alle sofferenze altrui. Con un nome in codice, Miele appunto, che è l’opposto della sua ruvidezza e del suo apparente distacco, anche emotivo, da chi la circonda, e che nasconde invece la sua vera fragilità, in procinto di emergere quando incontrerà un uomo deciso, forse più degli altri, a morire. Una pellicola audace, a tratti poetica, spesso giocata su inquadrature sbilanciate ma mai casuali, sul ruolo assordante della musica come fuga o sollievo dalla realtà, sull’ambiguità materica di superfici lucide, riflettenti o trasparenti (nel video allegato, una scena): a voler ribadire, lungo tutto il film, l’assenza di una demarcazione netta tra paura e coraggio, tra giusto e sbagliato, tra la vita e la morte.