Profumo di cover

▶ CHANEL N°5: The One That I Want – The Film – YouTube.

Lo stile lo riconoscerebbe anche un bambino, sin dalla prima inquadratura. E’ quello rutilante, pirotecnico, immaginifico, con cui solo certe pellicole firmate in passato dallo stesso regista, Baz Luhrmann (Romeo + Juliet, Moulin Rouge) sono riuscite ad abbagliare ogni angolo più sperduto della nostra, non troppo sconfinata, fantasia di spettatori. Che lo spot chiamato in causa poi, non faccia leva su di un (impossibile) processo di identificazione, arduo da realizzare, tra il pur modaiolo target di riferimento e l’ostentata perfezione di ambienti e soggetti, ma tenti piuttosto di rifilarci in toto il pacchetto “dimensione superlativa e irraggiungibile di lusso + storia d’amore appassionante comprensiva di happy ending + prodotto che significhi tutto ciò” (l’ultimo dei quali, a dire, il vero, è l’unico oggetto materiale che forse chiunque potrebbe concedersi nella propria quotidianità, molto meno scintillante e romanzata) è altrettanto evidente dopo appena dieci secondi dal suo inizio. Insomma, ribadire anche qui che l’ultima, spettacolare, fatica pubblicitaria siglata (un po’ ovunque) dalla doppia C della storica maison Chanel, in nome della fragranza più iconica di tutti i tempi, quel N°5 che accompagnava la sensualità notturna di Marilyn Monroe (mica di una sciacquetta qualsiasi), sia l’ennesimo esempio di un dispendioso capolavoro di cinematografia inchinatosi alla moda, significherebbe non solo sottolineare l’ovvia verità ma forse non rendere giustiza ad un suo ulteriore, fondamentale pregio. Sì, d’accordo, il cortometraggio è anche e soprattutto un tributo al fascino costosissimo e ineguagliabile della più pagata delle top model, Gisele Bundchen, sul cui corpo marmoreo, privo di ogni benché minima traccia di umani difetti, pare spesso indugiare la telecamera, quasi in preda ad una sorta di comprensibile ed estatico stupore. Ci sarebbero poi, degne di nota, le sue inaspettate evoluzioni subacquee e le sue (vere?) abilità da surfista navigata, eseguite con tanto di tavola griffata e incorniciate dalla trasparenza dell’oceano delle Fiji, in qualche fotogramma purtroppo dotato di una fissità artificiale proprio come certi sfondi finti che erano soliti scorrere sui lunotti posteriori durante le scene in auto dei vecchi film. C’è naturalmente quella smisurata e raffinatissima abitazione sulla spiaggia, dal design contemporaneo e dagli spazi immensi eppur così tirati a lucido, che arrivi quasi a provare simpatia per la povera colf pagata per tenerla perfettamente pulita, la stessa che compare solo qualche secondo in compagnia della bambina che “mamma – Gisele” le ha smollato per seguire il suo fighissimo lavoro di indossatrice. C’è una New York strabordante di luci e ingolfata di traffico che Gisele di nuovo attraversa a rotta di collo, in macchina, sempre splendida anche quando frigna, per arrivare impeccabile e puntuale all’appuntamento con il bellone di turno, l’attore olandese Michiel Huisman, noto per il suo ruolo di Daario Naharis nella fortunata serie tv Il trono di spade. Ma c’è soprattutto quella canzone ipnotica e struggente, quella melodia soave e mozzafiato che sembra farsi a poco a poco più familiare, le cui parole arrivano a salirti poco alla volta precise alla bocca mentre pensi “eppure mi sembra di conoscerla già…la conosco?…ma non mi dire che…” ed è solo allora che ricordi il titolo dello spot, The one that I want, quasi identico a quello del brano musicale riarrangiato e reinterpretato per l’occasione dall’artista debuttante Lo – Fang nel medesimo video. Ed è proprio in compagnia delle stesse parole e delle note di questa magnifica ballad che per qualche giorno, quasi sicuramente, ti ritoverai ad andare a dormire, come se si trattasse davvero di gocce del tuo profumo preferito.

History Chanel

▶ “Once Upon A Time…” by Karl Lagerfeld – YouTube.

“Sapevi che Chanel ha cominciato facendo cappelli?” mi chiede a bruciapelo, qualche sera fa a cena, mio padre, tra la mia faccia incredula, con la bocca spalancata dallo stupore, lo sguardo preoccupato di mia madre traducibile in un “Te lo dicevo io, sta partendo di testa” e l’espressione attonita del mio amore che mi bisbiglia timidamente “Che faccio, gli tolgo il vino?”. “Bravo, è verissimo” rispondo io “la prima boutique aperta era proprio una modisteria” “in un paesino della Normandia” aggiunge lui “ah, e aveva anche una sorella!” “Va bene, chi vuole il caffè?” taglia corto mia madre, destabilizzata dall’ipotesi che un altro Guasti manifesti all’improvviso un qualche nocivo interesse per la moda e la mia dolce metà che aggiunge “Io prenderei un amaro”, forse pensando di affidare all’alcol la sua crescente consapevolezza di trovarsi a tavola con una famiglia di svitati. La conversazione in realtà non a tutti potrebbe sembrare così campata in aria. Forse perché non conoscete mio padre. La creatura che incarna con più correttezza gli esatti antipodi della parola moda. Che vivrebbe eternamente piantato nella sue tute da ginnastica, con le solite scarpe tutti i giorni ai piedi, che al limite arriva a rinnovare il suo look aggiungendo in inverno un berretto di lana. Che dubito abbia mai fatto una sola ora di shopping in tutta la sua vita, che potrebbe perfino incontrare Giorgio Armani in persona e riuscire a pensare “Questo qui ha una faccia conosciuta, forse è un attore”. Che da uomo concreto, pratico, capace, anche di non pronunciare mai parole inutili o di troppo, rifugge automaticamente, ma senza disprezzo, qualsiasi manifestazione superflua di cura dell’esteriorità. Che anche quella sera, come spesse altre volte, ridacchia sotto i baffi, svelando i suoi denti piccoli e radi, identici ai miei, per poi concludere fiero “T’ho stupito, eh?”.

“Questo di sicuro” replico io “ora però dimmi dove l’hai imparato” “Ho visto un film” mi risponde “forse un po’ vecchio, in bianco e nero”. Non so quanto sia stato a rimuginarci sopra, prima di capire quale pellicola avesse mai potuto guardare per apprendere così dettagliatamente alcuni aspetti, neanche tra i più conosciuti, della vita di Coco Chanel. Poi, d’un tratto la soluzione: si trattava senza ombra di dubbio del corto Once upon a time (video allegato). Un video di una dozzina di minuti, per la regia dello stesso Karl Lagerfeld, anima della maison Chanel da tre decenni esatti, uscito la scorsa primavera per celebrare i 100 anni della prima boutique Chanel. Una ricostruzione un po’ romanzata ma efficace del debutto commerciale di Chanel a Deauville, piccola località di villeggiatura della Francia settentrionale, in pieno clima Belle Époque. Un originale tributo alla storia della più grande designer del Novecento, alle sue semplici e rivoluzionarie idee di stile – a partire dai cappelli piccoli e lineari, in un’epoca in cui i copricapi erano un ingombrante tripudio di piume – con una magrissima Kiera Knightley nei panni della stessa mademoiselle Coco, un piccolo stuolo di top model (Lindsay Wixon, Saskia de Brauw, Stella Tennant) e di socialites (lady Amanda Harlech, Jamie Bochert) chiamate ad interpretare invece personaggi, aristocratici e non (la marchesa Casati, lady de Grey) che gravitavano intorno all’universo Chanel degli inizi. Uno short movie che avevo guardato con misurato interesse, senza riflettere invece sul suo potenziale “didattico”, perché facile ed accessibile a tutti, anche a chi non ha mai masticato moda. “Ma non era un vero e proprio film” dico infine a mio padre “tu intendi il cortometraggio di Karl Lagerfeld” “Karl chi?” risponde lui, e io “Lagerfeld, babbo (ndr: la parola “papà” a casa Guasti non è mai esistita), lo stilista di Chanel” “No, non lo conosco” conclude lui, e poi ”dal nome pensavo fosse un attore”. Ok, come non detto.