Spazio maschilista?

Dr Matt Taylor wears fun shirt while… – YouTube.

Stavolta devo stare particolarmente attento. E non solo perché, da incosciente/ingenuo quale sono, insisto nel venire spesso allo scoperto narrandovi qui sopra, come se nulla fosse, la maggior parte delle mie provinciali convinzioni e dei miei superflui arrovellamenti mentali, con il medesimo, sincero impeto verbale e quell’urgente smania di sfogo che forse userei altrove soltanto sul lettino dello psicoanalista. Quanto perché, al pari dell’altro recente e discutibile post nel quale ammettevo, senza vergogna né riserve, la mia pressoché totale e inesplorata capacità di relazione col mondo animale in genere, tenuto, con tattiche sempre più perfezionate nel tempo, a distanza di sicurezza dal mio placido (oddio, insomma) tran tran quotidiano, con l’argomento seguente mi accollo invece il rischio di fare davvero, più che nella passata occasione, la figura dell’essere meschino, insensibile e retrogrado, o peggio ancora, irrimediabilmente maschilista. Un’accusa del genere, in realtà, con mio sommo stupore, mi é stata già rivolta proprio nei giorni scorsi, da una solerte e ahimè sconosciuta esponente dei miei (ahimè anche scarsi) follower di Twitter, una di quelle leonesse da tastiera, sempre pronte ad aggredirti con sintetici quanto intransigenti pareri, naturalmente ben occultati da uno studiato nickname e da una serie di foto che ne nascondono la reale identità (quando si dice il coraggio delle proprie opinioni!). Ebbene la signora in questione si è sentita in obbligo di intervenire in risposta ad una mia battuta (non così carina, questo glielo posso concedere) che aveva come obiettivo quello di colpire il cardinal Bagnasco, reo ai miei occhi di aver definito l’eventuale ipotesi delle nozze gay “un cavallo di Troia che mina alla base la famiglia”. Al che, forse un po’ troppo avventatamente, mi sono permesso di “cinguettare” che anch’io possedevo una mia definizione pronta per il cardinale e per sua madre, guarda caso con la stessa città: apriti cielo, in poco tempo è scoppiato il putiferio, e non tanto per il mancato rispetto nei confronti dell’ecclesiastico, critica che in quella circostanza non mi avrebbe poi così stupito, quanto perché il mio insulto (ci tengo a precisare insinuato e non esplicito, non sono mica così scemo da farmi bannare su due piedi da tutti i social) è stato prontamente giudicato come “sessista” dall’agguerrita e ipersensibile signora. La quale, oltre a prodigarsi in bacchettate francamente fuori luogo, pare in tutta evidenza ignorare i miei duraturi e preziosi rapporti di amicizia, conditi da un’infinita stima reciproca, con un numero maggiore di donne rispetto a uomini, oltre al mio passato di bambino cresciuto con madre battagliera, ragazza negli anni ’70 e femminista di prim’ordine, e sorella enormemente più talentuosa e intelligente di me, radici della mia attuale consapevolezza di adulto per cui la parità tra generi è un incontrovertibile dato di fatto, un principio talmente solido e radicato nella testa e nel cuore che mai e poi mai mi sognerei, neanche per scherzo o per errore, di mettere in discussione.

Ma tant’è: al quarto commento non richiesto sulla medesima lunghezza d’onda, perlomeno io sono riuscito a cavarmela escludendo definitivamente dalla mia pagina la sgradita e, per i miei gusti, troppo petulante ospite. C’è a chi è andata molto peggio: si tratta dello stravagante e tatuatissimo scienziato britannico Matt Taylor, membro della nota agenzia spaziale europea (Esa), salito agli onori delle cronache nelle settimane scorse per essere l’artefice della prima riuscita operazione di atterraggio di un robot, staccatosi da una sonda curiosamente battezzata Rosetta, sulla superficie in movimento di una cometa. Lo strambo personaggio, che unisce un’indiscussa genialità a dei simpatici tratti di innocenza quasi infantile, pecca però di scelte un filino azzardate nel suo personalissimo e criticabile look, tanto da aver indossato, nel giorno dell’attesa e strombazzata operazione Rosetta, una camicia variopinta quanto orrenda, decorata con stampe di pin – up seminude, ritratte in pose e in abbigliamento provocante (video allegato). Mossa che l’ha costretto, all’indomani dello stesso evento, a porre doverosamente le sue pubbliche scuse in tv, con relativo e inaspettato pianto in diretta, a tutte le donne che si sono sentite offese per la sua mise, dopo il rimprovero severo partito dall’autorevole rivista Guardian, che dal suo blog aveva tuonato parole grosse come misoginia e scandalo, rimbalzate poi naturalmente sul web, su Twitter in primis (e ti pareva), e lì riunite sotto l’apposito hashtag #shirtgate. Ora, non me ne vogliano le affettuose signore che ancora si degnano di leggermi: ma da quando in qua dei semplici disegni presenti su una camicia, seppur brutti senza mezza termini, nella fattispecie delle donne – fumetto, dunque inesistenti perché frutto di una fantasia disancorata alla realtà, possono in qualche modo recare offesa al più concreto e variegato universo femminile? Non sarà che a forza di gridare “al lupo al lupo”, di individuare a tutti i costi il nemico da stigmatizzare, di essere sempre sul piede di guerra, pronti a indignarci per questo o quel presunto sgarbo, rischiamo di svilire parole gravi e purtroppo ancora oggi esistenti come “sessismo” per ridurle a slogan triti e privi di significato, finendo col ridicolizzare i traguardi raggiunti e con lo sprecare fiato, energia e tempo in accanimenti insignificanti, inutili, inopportuni? Il maschilismo, concedetemelo, è un sentimento odioso e inaccettabile, quando c’è: in tutti gli altri casi, come questo, si tratta solo di agghiacciante, ma estremamente innocuo, pessimo gusto.

Pura eleganza!

Mostra-Ferrè-Xray

Contrasti e paradossi sono il vero motore stilistico della moda, il terreno alle base di tutte le trasformazioni più radicali nel gusto, la sola chiave di lettura per comprendere ogni principale rivoluzione estetica in materia di abbigliamento. Solo nel corso del secolo scorso, ad esempio, i creatori annoverati tra le maggiori personalità che hanno contribuito, con la loro visione innovativa, a modificare i canoni di un ideale di femminilità in perenne mutazione, nel ridefinire sul piano dello stile il concetto stesso di donna, hanno attinto a piene mani, in maniera apparentemente assurda, proprio dalla moda maschile. Coco Chanel nel suo processo di semplificazione formale degli abiti femminili traeva continua ispirazione dalla più elementare struttura dei capi ideati per gli uomini, a Yves Saint Laurent si deve invece il merito di aver reso lo smoking, il completo simbolo dell’eleganza maschile, un richiamo di assoluta sensualità per le donne. Per non parlare dei tailleur e delle giacche di Giorgio Armani, superbi esempi di rigorosa raffinatezza e cross – road tra generi, o della camicia bianca, classico passepartout onnipresente nel guardaroba di ogni uomo, divenuta tra le mani di Gianfranco Ferré un pretesto per dar luogo, in ogni sua collezione, ad un immaginifico processo di reinvenzione della silhouette femminile. Ad omaggiare e a rendere giustizia al formidabile contributo dell’architetto della moda, scomparso nel 2007, e alle sue geniali creazioni, che l’hanno distinto nel panorama contemporaneo e non solo, della couture, è oggi una mostra, “La camicia bianca secondo me”, inaugurata lo scorso 1 Febbraio al Museo del Tessuto di Prato (http://www.museodeltessuto.it/il-percorso-espositivo/esposizioni-temporanee/la-camicia-bianca-secondo-me-gianfranco-ferre, fino al prossimo 15 Giugno) voluta e organizzata con il supporto della stessa Fondazione Gianfranco Ferré. Ventisette strabilianti e fantasiose interpretazioni della camicia bianca, ideate nei suoi quasi trent’anni di attività, in cui la semplicità di struttura di partenza del capo viene ogni volta rifuggita e messa in discussione, in un processo creativo teso a dilatarne o riscriverne componenti e dettagli (polsini, collo, maniche) in un’arditezza di forme e volumi difficile anche solo da poter immaginare. Perché le creazioni di Ferré sono un’esplosione di creatività, sono meduse, nuvole, geyser, sono architetture rampicanti che si appropriano dei corpi per ridisegnarne la fisicità nello spazio, sono pezzi scultorei che mescolano riferimenti storici, epoche e stili, facendoli convivere in un insieme di straordinario ed insolito equilibrio. Così come chiariscono anche i numerosi bozzetti originali, gli scatti delle riviste patinate e le proiezioni delle sfilate che fanno da contraltare all’intera esposizione, tra cui si distinguono le immagini del direttore artistico Luca Stoppini (foto), che nel loro singolare effetto a raggi x forniscono un diverso piano di lettura strutturale e un punto di vista totalmente inedito sulle stesse camicie in mostra. E per quanto si possa rimaner amareggiati dalla notizia, diffusa quasi in concomitanza con l’inizio dell’esposizione, della definitiva chiusura della stessa maison Gianfranco Ferré (http://www.iltempo.it/cronache/2014/03/02/il-marchio-ferre-chiude-i-battenti-1.1225205) poter ammirare nuovamente le sue idee in tutta la loro energica potenza significa anche prendere consapevolezza di come una simile genialità sia impossibile da rimpiazzare.