Le bugie del laureato

The Graduate (1967) – “Mrs. Robinson, you’re trying to seduce me. Aren’t you?” – YouTube.

Non voglio infierire ulteriormente. Anche perché, sulla figuraccia di Oscar Giannino, giornalista (e questo al momento pare vero), candidato premier dimissionario nelle liste di Fare per fermare il declino (ma trovare un nome meno complesso no, eh?) che si ritira a pochi giorni dalle elezioni dopo lo scandalo dell’attribuzione di titoli accademici mai conseguiti, si è sparlato a sufficienza. Certo, rimane lo stupore per la promozione di un movimento che si fa portavoce della “trasparenza” e che poi mette a capo proprio chi ha favoleggiato, se non addirittura costruito dal niente un fantasioso apparato effimero, sulla propria carriera e sulla propria formazione, dando così un incomparabile esempio del predicare bene e razzolar male. Ma poi, quanto ci avrebbe guadagnato in stima e simpatia (già abbastanza precluse per quel look da pirata dei caraibi più che da dandy) se, anziché andare in tv a capo chino a pronunciare il suo mea culpa solo a sputtanamento avviato (scusatemi, non trovavo una parola altrettanto calzante) avesse ammesso l’inesistenza dei suoi studi all’inizio della campagna elettorale? Il fatto è che Giannino è inciampato su un errore e su un equivoco piuttosto diffuso e indicativo di un pensiero generale: la convinzione che una laurea alla parete ti dia maggiore credibilità e sia il più immediato sinonimo di intelligenza. Permettetemi di dissentire: e lo dico anche a mio discapito, spero senza far alterare tutti quelli che come me hanno speso gli anni migliori sui libri e talvolta rimbalzato a qualche esame per raggiungere l’agognata meta di un pezzo di carta (che poi, nel mio caso, ho lasciato marcire nella segreteria dell’Università per più di dieci anni). Abbiamo avuto la fortuna di poter studiare, a costo anche di discreti sacrifici economi delle nostre famiglie: il che non ci rende automaticamente più capaci di chi ha un titolo di studio diverso o inferiore, o di chi non lo possiede affatto. Conosco persone molto più brillanti e talentuose di me ma che hanno fatto scelte scolastiche diverse e seguito altri percorsi, così come incontro spesso laureati che sono chiaramente dei gran pezzi di cretini. Lo studio equivale forse a una maggiore preparazione e competenza in una tale disciplina o materia: l’intelligenza, nella vita, si misura con altri parametri. E possedere il titolo di dottore, credetemi, non ti cambia proprio niente, se non la dicitura su alcune raccomandate che ti arrivano per posta e il continuare a cercare qualcun altro dietro di te, con lo stetoscopio al collo, quando per caso ti apostrofano come tale in una conversazione formale. La coincidenza che trovo buffa è che proprio nei giorni del clamoroso autogol di Giannino sia venuta a galla un’altra ”bugia”, durata molti più anni, 46 per l’esattezza, che in qualche modo ha a che fare con una laurea. Si è scoperto soltanto adesso infatti che la gamba che compare nella locandina e nelle scene più hot della pellicola Il laureato (1967, video allegato) con Dustin Hoffman al suo primo ruolo importante, non appartiene alla protagonista femminile, la seducente Anne Bancroft/Mrs Robinson, ma a una controfigura, allora sconosciuta, di nome Linda Gray, ossia la famosa Sue Ellen di Dallas (http://d.repubblica.it/argomenti/2013/01/30/foto/linda_gray_laureato_gamba-1485551/6/). A rivelarlo l’attrice stessa, forse per rivendicare il suo indiscutibile contributo alla creazione di  un’immagine più che iconica, entrata di diritto nella storia del cinema. Il che, nell’opinione comune, vale tanto. Molto più di un millantato e fasullo master a Chicago.