Rise and fall

Madonna Falls Backwards Off the Stage At BRIT Awards Ceremony LIVE SHOW – YouTube.

L’abbiamo tutti già visto e rivisto con sconcerto e stupore immaginabili, c’abbiamo scherzato e sorriso su, qualcuno forse ne avrà malignamente gioito, altri, soprattutto coloro che da sempre ne riconoscono e ne ammirano il perfezionismo sfrenato, ancora si chiedono come sia potuto accaderle un simile, imbarazzante episodio. Che il tonfo sonoro di Madonna, capitolata a gambe all’aria giù dal palco della O2 Arena di Londra, dove si stava esibendo live per la 38esima edizione dei Brit Awards, sia l’incidente più chiacchierato, condiviso, commentato, di questi giorni, sul web e non solo, è naturale, dato il rilievo mediatico planetario del personaggio e la spettacolare caduta, che se fosse capitata a noialtri comuni mortali, ammettiamolo, saremmo ancora lì a terra mezzi doloranti o probabilmente fuggiti via strisciando per la vergogna. Farne però l’emblema del coraggio e della tenacia tout court, elevarlo a metafora incondizionata dell’esistenza, spendere fiumi di parole per trasformarlo nell’attuazione pratica di quel proverbiale e fondamentale “rialzarsi nella vita”, per quanto legittimo, francamente, mi pare un tantinello esagerato. E lo dico, prima di attirarmi le antipatie dei “madonnari” più sfegatati, da fan di prim’ordine, di quelli che di Miss Ciccone ne seguono da decenni, con interesse e curiosità al limite del morboso, apparizioni e interviste, trasformazioni e provocazioni, acquistando e collezionando talvolta anche i lavori più irrilevanti (compresi quell’album insignificante che fu Who’s that girl e il fotolibraccio erotico – celebrativo Sex). Avendo soprattutto una ferma convinzione, che il mio idolo pop continua invece sistematicamente a smentire: ho sempre ritenuto che una star di tale grandezza, grintosa e meticolosa allo stremo, intelligentemente trasgressiva, unica diva dall’incomparabile, luminosa e longeva carriera, nonostante le limitate doti canore, avesse da tempo anche pianificato in qualche modo il suo strabilante e definitivo addio alle scene. Una come Madonna, pensavo, è salita troppo in alto in questo mondo per potersi permettere, un domani, di viverlo in discesa: tra poco, continuo a ripetermi, vedrai che organizzerà il suo ultimissimo tour, lo spettacolo più immaginifico e indimenticabile di sempre, un’uscita in grande stile, il suo gran finale, come d’altronde si dovrebbe addire alla fama irraggiungibile del personaggio. Mentre alle soglie dei 57 anni (un’età in cui molte stelle di casa nostra si lasciano fotografare circondate dai nipoti, elogiando le meraviglie della vita da nonna o pubblicizzando prodotti anti – colesterolo) ancora in formissima ma con un’agilità sempre più ridotta, ancora affascinante ma irrigidita da troppi ritocchini impossibili da celare, è ancora là a voler ribadire e difendere il suo trono di regina indiscussa del pop. E se c’è una cosa allora che quel volo rovinoso dai gradini, ancor più comico dopo il solenne ingresso tra il pubblico, sta forse a simboleggiare, non è tanto il riuscire con immensa professionalità a rialzarsi e a cantare, incolpando poi su Twitter dell’incidente il mantello troppo lungo e stretto ideatole da Armani (qualcosa mi dice che i due non collaboreranno più in futuro), quanto la sua sconfinata ostinazione. La stessa ostinazione che troviamo nella lotta contro il tempo di un corpo maturo che non vuole arrendersi al passare degli anni, nel perpetuare l’immagine di icona sexy ricorrendo alla seduzione spicciola e un po’ cafona, tutta tette e chiappe al vento (talvolta ridicola anche per una ventenne), nella volontà di aggrapparsi agli strascichi di una carriera fulgida, sulla quale, prima o poi, dovrà chiudersi inesorabilmente il sipario. E sarebbe il caso, cara Madonna, che sia proprio tu a decidere quando, prima che a farlo sia il prossimo costume rimasto impigliato chissà dove.

Save the King

Italian fashion designer Giorgio Armani

Abituati come siamo, ormai da tempo, a fuggire a gambe levate dall’idea che gli anni trascorsi possano lasciare il loro segno indelebile sui nostri corpi, a prolungare con massacranti attività sportive e altri criticabili artifici la nostra giovanile freschezza destinata comunque a scemare, a considerare con ingiustificata leggerezza i 50 i nuovi 30, i 40 ancora degni delle follie da ventenni, i 60 un’età in cui potersi sentire comunque vitali e scattanti come ragazzini, non resterebbe che rimandare quell’odiosa fase della vita, una volta definita “vecchiaia”, ad un traguardo importante e per tutti auspicabile come gli 80. In teoria, perché nella pratica, e il personaggio di cui stiamo per parlare ne è la prova inconfutabile, il concentrarsi di tutte quelle primavere sulle spalle non coincide più con l’immagine stereotipata della signora da aiutare con le buste della spesa ad attraversare la strada, ma si è trasformato di diritto nell’ultimo tabù infranto da uno stuolo di ottuagenari innegabilmente dinamici, in forma strepitosa, perché no, ancora piacevoli o attraenti. Capofila indiscusso di questo dirompente nuovo approccio alla terza età è il nostro celebre e ammiratissimo Giorgio Armani, che a pochi giorni dal suo ottantesimo compleanno (è nato l’11 Luglio del 1934) rimane forse l’unico esemplare sulla faccia della terra a potersi ancora permettere di uscire in passerella per ricevere gli applausi con la sua semplice e immancabile t-shirt blu, quando invece la maggior parte dei suoi coetanei si è rassegnata da decenni a nascondere braccia e bicipiti in macerie con capi più coprenti o mortificanti. Di certo rimane uno dei pochissimi volti noti a cui viene concesso il raro lusso di sbilanciarsi in pubblico in dichiarazioni qua e là pennellate di veleno (l’ultimo bacchettato il nostro premier twitter-dipendente Matteo Renzi, definito dallo stilista “rotondetto” e non esattamente elegante) senza che ciò venga imputato ad un improvviso e preoccupante “colpetto” alla testa, giustificabile in ogni caso con gli anni. Soprattutto una personalità che non è mai a sproposito o trita retorica definire infinitamente talentuosa, carismatica e influente e che occorrerebbe, anche promuovendo un referendum se ce ne fosse il bisogno, salvaguardare o elevare al rango di bene o monumento nazionale, lui, ultimo e ancor oggi attivissimo esponente di un’epoca irripetibile di geniali protagonisti della moda su cui ha furoreggiato e primeggiato, talvolta tiranneggiato, in barba a quel blando e infalzionatissimo appellattivo a cui ricorre tanta stampa priva di fantasia nel definirlo banalmente “Re Giorgio”. Più ammirato e idolatrato di un qualsiasi sovrano terrestre infatti, più imitato e duraturo di tutte le fugaci icone del settore che spariscono al ritmo di rapide meteore, più popolare e globale di ogni altro marchio o etichetta esistente sul nostro pianeta senza mai risultarne da ciò altrettanto svilito, il nome di Armani è sinonimo nonché garanzia di eleganza inarrivabile, estrema raffinatezza, suprema ricercatezza, come l’unico rifugio o porto sicuro a cui si approda in cerca della superba semplicità di una classe straordinaria e inconfondibile. E’ piuttosto un impero il suo, costruito con capacità e determinazione, con la lungimiranza di intuizioni capaci di resistere agli scossoni del tempo, alle troppe concessioni al cattivo gusto che immancabilmente s’insinuano nel linguaggio della moda, alle piccole rivoluzioni nei canoni dell’abbigliamento incapaci però di competere con la sua radicale e innovativa visione nella creazione di un proprio, ineguagliabile, stile. Che, di sicuro, fra 80 anni saremo ancora qui a ricordare, lodare e  festeggiare. Tanti auguri.