“Sì, ma io non sarei proprio un fashion blogger!” è la frase che più spesso, in questi quattro anni (quattro anni esatti oggi) mi sono ritrovato a pronunciare nelle varie occasioni, più o meno importanti, più o meno noiose, in cui fosse richiesta la mia entusiasta e talvolta mal vestita presenza come unico titolare/autore/colpevole di questo bislacco spazio online. E non per una qualche esplicita o sotterranea antipatia nei confronti della suddetta categoria professionale, quanto per ammessa incapacità di adeguarmi alle regole, alle finalità, ai ritmi incalzanti e inutilmente sfiancanti degli altri fashion blogger, che hanno dato vita alle proprie pagine con altri, chissà se più nobili, sicuramente più commerciali, scopi. A me mancava semplicemente scrivere, e nella più totale libertà. Dopo circa un decennio di gavetta come sottopagato e semisoffocato redattore/collaboratore/ghostwriter per diverse redazioni e testate, opportunità da abbinare sempre e necessariamente a qualche altro lavoretto saltuario o stagionale per far fronte alle più elementari necessità della vita (tipo quell’odiosissima pratica delle bollette, per dire), avevo deciso, in tutta coscienza, di fare un passo indietro e poter tornare a respirare. Via perciò dalla città, dai meccanismi crudeli e detestabili di un mondo inginocchiato alla superficialità, alla ricerca di una dimensione che mi sembrasse in altre parole più tollerabile, autentica, umana. Il mio blog ha significato per me sin dall’inizio tutto questo: un rifugio placido e accogliente in cui, accantonati anni di inutili ambizioni e frustrazioni professionali, potessi ritagliarmi finalmente un terreno tutto mio, in cui potessi metterci senza timori la faccia (o parte della testa) e prendermi l’intera responsabilità, nel bene o nel male, di ogni mia singola parola o considerazione. In cui poter provare a commuovere, divertire, intrattenere o inorridire quei malcapitati lettori con le mie sole energie, i miei soli punti di vista, i miei soli, chissà poi quanto originali o barbosi, racconti e aneddoti. Poi però le cose sono cambiate: come spesso accade nella vita, si può decidere di tornare sui propri passi, si può avvertire chiara nel petto la mancanza di ciò che pensavi non avresti mai rimpianto, ci si può riscoprire pronti a ricominciare, a buttarsi nella mischia, a riprendere una strada abbandonata da tempo perché in passato troppo costellata da inciampi e stanchezza. Ma è una strada che richiede una dedizione totale ed esclusiva, che azzera ogni tuo orario, qualsivoglia programma o benché minimo tentativo di pianficazione delle tue giornate. Ed è l’unica che conosco per affrontare un lavoro impegnativo, altalenante e schizofrenico, il lavoro che però mi sono scelto perché mi gratifica più di ogni altro e che non riesco a fare a metà, anche a costo di sacrificare questo blog, a cui però, per il momento, non voglio dire definitivamente addio. Perché gli addii sono struggenti, dolorosi, talvolta urlati, dettati da rabbia o da risentimento. Questo quindi è piuttosto un arrivederci: colmo di gratitudine, soprattutto per chi, in tutti questi anni, ha trovato un po’ del suo tempo, la voglia e la pazienza di seguirmi fin qui. Un arrivederci attraversato da cima a fondo dalla speranza concreta di ritrovarci davvero presto, forse di nuovo qua sopra, forse, e perché no, anche altrove.
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Bye bye Beauty
Bellezza che viene, bellezza che va. Dovremo farcene una ragione. Lo so, ormai era diventata una gradita abitudine, il dispiacere perciò sarà tanto, forse perfino insopportabile. Non rimane che sperare in un improvviso cambiamento di decisioni ai vertici Rai, o nel tentativo necessario di un accordo tra le parti, che al momento pare inesistente. E se ancora non vi è chiaro di cosa vada oggi blaterando, è perché probabilmente vi è sfuggita la notizia assai triste, di quelle che ti prende il nodo in gola e il magone allo stomaco per giorni, dell’incomprensibile e sempre più certa cancellazione di Miss Italia dai palinsesti della tv di Stato (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/14/miss-italia-non-andra-in-onda-costa-troppo-e-rende-poco/560571/). Ma come, dopo 25 anni in cui il deprimente arrivo dell’autunno viene, guarda caso, scandito dalla messa in onda dello show che incorona la più bella del bel Paese, colei che avrà la fortuna, per un anno, di dover indossare, ovunque vada, una fascia che non ne vuol sapere di star su su una spalla, e soprattutto di veder finalmente concretizzata l’opportunità di una fulgida carriera nello spettacolo, a pubblicizzare, per secoli, l’acqua che fa fare tanta “plin plin”, e ce lo togliete così, senza preavviso, senza una spiegazione plausibile? Non tanto per noi, che forse, a malincuore, riusciremo però a rimpiazzare con l’ennesimo film di Bud Spencer su rete 4 la visione di adolescenti ambiziose che sfilano in costumi degni di una vecchia zia, con un numero di riconoscimento ben appuntato sul cuore (chissà se arrivano a strapparsi i capelli per evitare il 17?), tutte, a loro dire, ragazze semplici, con dei veri valori, speranzose nella pace nel mondo e in un futuro da supermamma/scienziato/mito del cinema (tra 30 anni mi vedo con 6 figli/laureata in fisica subnucleare/come Sofia Loren). Quanto per Patrizia Mirigliani, figlia del patron del concorso, che ha ereditato dal papà questa bella gatta da pelare spacciata per bene nazionale, che compare in tv solo una volta l’anno con quel faccino puntuto, sempre attenta a tenersi a distanza dalle Miss più alte di lei di almeno mezzo metro, e che immaginiamo già costretta in futuro a riciclarsi in qualche reality, magari rotolandosi nel fango, in una sperduta isola caraibica, con altri volti noti dello schermo tipo Maria Teresa Ruta o la gallina della spot di Banderas. Non sarebbe giusto. Per rispetto soprattutto a quell’attesissimo e gustoso momento di televisione, quando, tra le due ultime finaliste, avvinghiate tra loro come liane agli arbusti, con l’aria di chi è appena reduce da una battaglia sanguinosa, ma con il sorriso, ormai stanco, sempre ben indirizzato alla telecamera, viene finalmente decretata la vincitrice, che non è mai la tua preferita. Quando non fai in tempo a vederle spuntare quelle due mezze lacrime di circostanza dagli occhi, che, ecco, te la ritrovi schiacciata dall’ondata violenta e scomposta delle altre partecipanti al concorso, tutte asserragliate alle sue spalle, da una buona mezz’ora, come ai blocchi di partenza, e ti sembra quasi che sognassero anche loro quel momento, ma per un’altra ragione, cioè il desiderio di poterla brutalmente urtare e investire. Volete davvero lasciarci orfani di questo, ormai abituale, spassoso siparietto? Come faremo senza? Perchè, al confronto, per quanto talvolta altrettanto morbosamente trash, non c’è alcun reality che tenga. E neppure gag di Bud Spencer.