Come si cambia

Maddalena ha modi gentili, un sorriso intenso, la stessa voce pacata e melodiosa che ricordavo e che starei ad ascoltare per ore. Di lavoro fa la guida turistica, ci siamo incontrati spesso durante questi miei anni di militanza professionale nei musei, tanto che ormai è sufficiente una sua rapida occhiata per capire al volo se sia il caso di fermarsi a scambiare due chiacchiere o se i visitatori che l’accompagnano siano scocciatori della peggior specie, stranieri frettolosi, nell’uno o nell’altro caso sempre persone poco inclini ad alcun tipo di interruzione. Lorenzo invece non lo vedevo da tempo. Esattamente come allora è rimasto il solito tipo taciturno, riservato, abilissimo nel piazzare la battuta al momento giusto; adesso però ha smesso di fumare, è diventato vegetariano, salutista, notevolmente più magro e da due anni anche padre di una splendida bambina. Maddalena ha invece due piccoli figli maschi, a suo dire dal carattere troppo vivace e impetuoso, forse dimenticando che lei stessa, prima di trasformarsi nella donna mite e garbata che mi siede accanto, è stata una ragazza peperina, con cui era impossibile spuntarla se sfidata in una qualsiasi discussione. Così l’avevo conosciuta, insieme a Lorenzo, tra i banchi di un noiosissimo corso universitario che seguivamo a turno, palleggiandoci la lezione del sabato mattina (perché, diciamocelo, a vent’anni, il sabato mattina è quasi una divinità intoccabile) e che poi decidemmo di preparare insieme all’esame, ritrovandoci per mesi, tutti e tre, alla stessa ora, allo stesso tavolo, nella stessa biblioteca. L’altra sera eravamo di nuovo noi tre, quindici anni dopo, diverso il tavolo, quello di un locale frequentato del centro (“non sarà troppo figo per noi?” “niente è troppo figo per noi!”), diversa l’occasione (“aspetto il terzo figlio” ci ha spiazzato Maddalena “sarà sicuramente maschio” “e più scatenato degli altri”), a brindare e a mangiare (“per me niente alcol” “per me niente carne” “per me stiamo invecchiando male”), a ricordare le bizzarrie di compagni e professori, a tentar di scorgere, nelle nostre parole e nel nostro aspetto, le tracce di ciò che eravamo un tempo e provare a scoprire, al contrario, le differenze con ciò che siamo diventati oggi.

Com’era prevedibile, l’inizio della serata è stato curioso e scoppiettante: avevamo un passato vissuto in comune, da quello siamo ripartiti, tra ricordi, risate e preoccupanti vuoti di memoria (“la bibliotecaria? ma non era un uomo?”) come divertente appiglio per ignorare la consapevolezza di non poter colmare in una sola sera le lacune reciproche sulle nostre attuali esistenze. Abbiamo rievocato il nostro vecchio insegnante, il suo imbarazzante riporto di capelli che partiva dalla nuca per poi snodarsi su tutta la fronte (“e quando veniva in bici?” “gli scendeva come una marmotta sulle spalle” “però, adesso potrei sperimentarlo anch’io”), il suo chiedere ingenuamente “lei, laggiù, mi passerebbe la canna?” intendendo il lungo bastone che giaceva in un angolo dell’aula, deputato ad indicare i dettagli delle immagini proiettate, e non le sigarette amatoriali che in un paio di occasioni gli sono giunte tra le mani. Siamo andati all’avida e scomposta ricerca di indizi e aggiornamenti sui volti, non sempre gli stessi, dei nostri compagni di corso che ricordavamo (“E Tiziana, la pittrice? “E Marco, quello piccolino, studiosissimo?” “E Francesca, la bionda, aveva dato l’esame con noi, che fine avrà fatto?”) ottenendo risposte fumose, talvolta tragicomiche, per non dire surreali (“Ha ereditato da poco l’attività del padre” “Si sarà perso nei meandri della sua stronzaggine” “Insegna capoeira” – “ma è un lavoro?” – “a me ne hanno offerti di peggiori”). Ci siamo fatti coraggio e abbiamo infine acciuffato quella domanda che dai primi minuti del nostro incontro vagava nell’aria e che aspettava solo di prendere corpo sulle labbra di qualcuno di noi: “E se potessimo tornare indietro, rifareste la stessa scelta?” “Io no, meglio insegnare capoeira” “Vuoi una risposta seria? Non c’ho mai pensato”. Era vero. Mai riflettuto su un’ipotetica, seconda possibilità, mai tornato indietro sulle mie, per quanto assurde, decisioni. Anche se sono spesso frutto di ragionamenti avventati, della mia dannata impulsività, di una logica tutt’altro che ineccepibile. Agisco, mi lancio, talvolta cado, spesso sbaglio. E’ andata male, pazienza, ricomincerò, da qualche parte. Semplice, concreto. Senza troppe illusioni, altri dubbi, la briciola di un minimo rimpianto. La prova più evidente che in questi ultimi quindici anni sono cambiato tanto anch’io.