Tutta colpa di Gianni!

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Inutile nasconderlo, non ho esattamente quel che si definirebbe “un buon rapporto” con il tempo che passa. Ed è altrettanto inutile che continui a scherzarci su, come faccio qui sopra, ostinandomi a dichiarare allegramente i miei 29 anni, o a insistere a rispondere, quando mi si chiede l’età, “una trentina” (vorrei anche approfittare per ringraziare pubblicamente la signora che l’altro giorno al forno me ne ha dati 27), offendendomi a morte o soffocando il chiaro istinto omicida che mi assale quando invece me ne attribuiscono di più. E non si tratta, poi così superficialmente, di un semplice fatto di vanità, di voglia di apparire più giovane a tutti i costi o di non saper fronteggiare un graduale quanto inesorabile declino fisico: per chi, come me, in breve tempo si è trasformato da uno fighetto snello, abbronzato e capellone in un ometto occhialuto, calvo e semiflaccido, è piuttosto evidente che il massimo della forma raggiunta intorno ai 18-19 anni sia oramai un bel ricordo da lasciare alle spalle, senza più rimpianti. Pazienza. Ciò che al contrario non riuscirò mai a padroneggiare, a gestire al meglio o ad abbandonare dietro di me con altrettanta facilità è quella mortificante sensazione che il tempo tra le mie mani sia qualcosa di continuamente inafferabile e sfuggente, una capricciosa entità che non si lascia piegare al mio volere, sempre troppo veloce, troppo indipendente, troppo lontano dai miei ritmi e dai miei desideri. Così, l’altro giorno, quasi prima che me ne potessi rendere conto, mi ha regalato l’ennesimo compleanno (e tanti auguri!). Che mi è piombato addosso come un macigno, senza alcuna possibilità di appello, rivestendomi di una nuova età – tra l’altro una cifra insignificante e dispari – a cui faccio fatica ad abituarmi, perché percepita come estranea ed esagerata rispetto alla mia vita attuale. Ok, tento di spiegarmi meglio.

Da bambino, appesa alla parete sopra il mio letto, avevo un’enorme cartina geografica del mondo, su cui passavo ore a fantasticare immaginandomi tutti i paesi, anche i più sperduti e irraggiungibili, che un domani avrei visto con i miei stessi occhi, in preda a quel senso di onnipotenza che solo il possedere tanto tempo a disposizione davanti a te può darti. Poi guardavo la finestra della mia camera e il piccolo tratto di mare che incornicia, sicuro che la mia vita sarebbe stata di sicuro oltre quell’orizzonte, non sapevo bene dove, ma di certo in qualche angolo affascinante di quel mondo sconfinato che aspettava solo me. Adesso che vivo a sole due ore di auto dal mio paese natìo in cui ritorno sempre volentieri, che gli anni trascorsi hanno dato una bella sforbiciata alle ipotetiche mete allora date per scontate, che, ci mancherebbe, le occasioni per viaggiare saranno ancora tante e comunque qualche posto in più l’ho visitato, ma insomma, l’isola di Pasqua o lo stretto di Bering forse posso cominciare ad escluderli dall’elenco, mi sembra di aver tradito in parte i miei sogni di fanciullo. Stessa cosa per quanto riguarda le mie ambizioni professionali: folgorato a 16 anni da una sfilata di Gianni Versace trasmessa in tv (video allegato), che avevo registrato e che ho riguardato all’infinito fino a consumarne il nastro (esistevano i VHS, lo so, preistoria), tutte le mie scelte da quel momento in poi sono state condizionate da quella ferma convinzione nata davanti ai suoi incantevoli abiti, “mi occuperò di moda”. E chissenefrega dei soldi spesi per le migliaia di riviste, di foto e di cataloghi che compongono la mia ventennale collezione, che adesso nessuna libreria sembra più voler contenere, della parziale delusione dei miei, che non mi hanno mai ostacolato, ma che avrebbero di certo preferito un figlio medico, ingegnere o avvocato piuttosto che un laureato in “storia del costume e delle arti decorative e industriali” (o in “ciondoli e cazzetti” per dirla come mio padre), degli spaventosi e altalenanti vuoti professionali che una formazione del genere implica. Volevo, e voglio tutt’oggi, scrivere di moda.

E per quanto armato solo di buona volontà, o se vogliamo cocciutaggine, sia riuscito a far comparire nel mio curriculum varie e pregevoli collaborazioni con magazine del settore, con istituzioni museali e scuole di moda, per quanto mi sia preso le mie belle soddisfazioni e le mie rivincite di fronte a quanti mi consigliavano di lasciar perdere (o di abbandonare del tutto l’idea della scrittura), ogni anno che passa sembra allontanarmi dalla meta che ancora non ho pienamente raggiunto. Chiamatela presunzione, perenne insoddisfazione, incapacità di accontentarsi o di inchinarsi alle più elementari esigenze delle vita quotidiana; ma quel 16enne imbambolato di fronte alle sfilate di Versace continua a scalpitare in me. Mentre il tempo che si avvicenda implacabile, ridimensionando le mie ambizioni, costringendomi a continui ripensamenti o a valutare quegli eventuali errori di percorso, mi infastidisce perché imporebbe precise scadenze. Che prima o poi dovrò soppesare. Facciamo il prossimo compleanno. Il trentesimo. Forse.