Al posto tuo

See how easily freaks can take over your life – YouTube.

Non so voi, ma io rientro in entrambe le categorie “a rischio”. La prima, e non c’è nulla di cui vantarsi al riguardo, è quella dei tipi distratti/svagati/ingenui che in più occasioni sono stati vittime di furti di ogni tipo. A me, ad esempio, hanno rubato anche le mutande. E lo dico senza un briciolo di ironia. Perché, non contenti di avermi fatto fuori, nel tempo, telefonino (sparito una mattina in metro), portafogli (scomparso sul lavoro, con tanto di biglietto del treno all’interno, tornai a casa solo grazie a una colletta dei colleghi), bancomat (clonato, con due prelievi secchi il mio conto scese a 55 euro), macchina (la prima, una Y10 dell’ ’89, un catorcio, mi illudevo, inguardabile perfino agli occhi di un ladro), pochi anni fa riuscirono a sottrarmi, con mio enorme stupore, anche i fili per i panni con buona parte della vecchia biancheria stesa ad asciugare. Neanche ne indossassi di firmata. Così, per superare lo shock procurato dall’anomala rapina, i primi tempi mi ero volutamente autoilluso che la mano di un simile, inspiegabile gesto, fosse per forza quella di un qualche anonimo, audace e forse un po’ feticista corteggiatore, il che dava a tutta la vicenda un tono molto più romanzesco e romantico. Versione che cadde come un castello di carte appena scoperto, parlando con il resto dei condomini, che nella stessa occasione furono anche rubate le camicette con colletto ricamato della vicina ultraottantenne e le scarpe da calcetto n. 32 appartenute al bambino degli inquilini del piano di sotto. La mia bizzarra storia dello spasimante squinternato, che in uno slancio passionale si era appropriato dei miei boxer e dei miei calzini, ormai, non reggeva più.

L’altra, forse più diffusa, categoria, perfettamente in linea con il tema di questo post, è quella che raccoglie chi, come me, allestisce quotidianamente una vetrina sulla propria esistenza attraverso le pagine di un social network. Quelli che, in maniera maniacale, per vanità, divertimento, solitudine o anche solo per la virtuale necessità di un qualsiasi pubblico, condividono, con amici o estranei, migliaia di loro stati d’animo, di foto buffe o ritoccate, di veri e presunti interessi, indicando spesso anche il punto esatto della loro posizione sulla faccia della terra, in qualsiasi momento della giornata, le persone con cui si trovano, le pietanze che stanno mangiando. Specificato che non tutto il materiale in circolazione sui vari social può essere definito “degno di interesse” (io, ad esempio, trovo particolarmente noiosi poi i mille scatti di tavole imbandite e piatti trasudanti cibo), è pur vero che, in maniera contraddittoria, ci troviamo a riempire i nostri spazi online di svariati dettagli, anche i più privati, sulla nostra vita e sui nostri gusti, affidando di fatto alla rete milioni di indizi su chi siamo, cosa facciamo, come viviamo. E se tutti queste informazioni, fornite peraltro da noi stessi senza alcuna richiesta, venissero infine usate da qualcun altro per ricostruire un alter ego che possa sottrarci la nostra identità? E’ la conclusione, paradossale e inquietante, a cui giunge la nuova campagna di sensibilizzazione (video allegato) per la privacy online di Febelfin realizzata da Duval Guillame Modem, agenzia già vincitrice, lo scorso anno, di un Leone d’oro a Cannes per un cortometraggio sullo stesso argomento (http://www.youtube.com/watch?v=F7pYHN9iC9I). Poco più di 4 minuti per riflettere sugli eventuali rischi connessi a quando raccontiamo (troppo?) di noi e ci esponiamo, più o meno consapevolmente, sul web, e quanto tutto ciò possa essere dannoso o controproducente. O riservarci un domani pessime sorprese, decisamente peggiori di un banale furto di biancheria su cui fantasticare.

Dalla Russia con amore

Al Bano & Romina Power – Felicita 1982 – YouTube.

“Non conoscevo ancora l’italiano” mi confidò, davanti all’ennesima birra, in un’appiccicosa serata estiva, Stefan, stravagante e festaiolo studente tedesco con la passione per l’arte medioevale, conosciuto sui banchi dell’Università “ma ricordo ancora tutte le parole. Mia madre la ascoltava sempre”. Fu esattamente allora che pensai per la prima volta quanto siano capricciosi, oscuri e spesso indipendenti dalla nostra volontà i meccanismi della memoria, quanto, col passare degli anni, si faccia sempre più fatica a tenere a mente quel che invece vorremmo portare avanti con noi nel corso della vita, mentre milioni di “files” del nostro cervello rimangono, con sfacciata indifferenza, beatamente occupati da tonnellate di immagini, suoni e ricordi assorbiti, senza il minimo sforzo, in un’età in cui ogni cosa sembra potersi imprimere per sempre nella testa. Nel mio caso, queste piacevoli zavorre hanno le sembianze delle poesie di Trilussa, della storia degli Assiri e dei Babilonesi, delle filastrocche di mia nonna, delle Barbie decapitate di mia sorella, della sigla dell’Uomo Tigre. Per Stefan lo era Felicità di Al Bano e Romina (video allegato). A lui, sinceramente, è andata un po’ peggio. Soprattutto perchè, per un ignaro e biondissimo bambino cresciuto in quel di Colonia, nulla lasciava presagire che la sua infanzia sarebbe stata poi turbata da rime come “tenersi per mano e andare lontano”, per di più scandite dalla voce fioca, dagli ancheggiamenti scomposti e dalle gonne gipsy – kitsch di Romina Power. Ma la ricordava a menadito sul serio, come il suo tentativo sguaiato di intonarne il ritornello, tempestivamente interrotto dal sottoscritto, mi dimostrò. In effetti, quello di cui parlava Stefan era il periodo in cui, numerosi cantanti nostrani, non sempre altrettanto apprezzati in patria, potevano vantare invece un exploit di vendite e di successo in diversi paesi stranieri, realizzando così un differente ritratto della musica italiana all’estero, rimasto in voga poi per decenni (provate ancora oggi a chiedere a un amico belga o austriaco quali artisti italiani conosca, e state pur certi che, oltre ai soliti Eros Ramazzotti, Laura Pausini e Tiziano Ferro salteranno fuori nomi come Ricchi e Poveri, Toto Cutugno, Pupo). E che in alcuni stati dall’economia in ascesa, di quelli investiti, nonostante la crisi arcinota, da uno schiaffo improvviso di ricchezza e benessere, continuano (inspiegabilmente?) a funzionare. Come la Russia. E non è infatti un caso, che soli pochi giorni fa, nelle strade di Mosca, abbiano fatto la loro singolare comparsa delle locandine che annunciavano, udite udite, una serie di concerti in programma alla Crocus City Hall, gigantesca arena cittadina, in cui si dovrebbe finalmente verificare la tanto attesa riconciliazione artistica della  celebre coppia Carrisi – Power (http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/bano-e-romina-ventanni-ancora-coppia-solo-cantare-933376.html). Nessuna conferma ufficiale, in realtà, è mai giunta dai due diretti interessati, indaffarati nelle ultime ore a glissare sull’argomento, ritrattare, smentire, ma sempre senza troppa convinzione. Staremo a vedere. Certo è che, dopo aver cantato per quasi trent’anni sul palcoscenico l’ideale di amore eterno (per poi confermarci che effettivamente non esiste), incarnato nella vita privata la famiglia pseudo-perfetta, arricchita da una cucciolata di figli dai nome esotici (inutile qui rinvangare la tragedia della scomparsa della primogenita Ylenia), inciampato in arrampicatrici da avanspettacolo desiderose di notorietà (leggi Loredana Lecciso), un assaggio di Felicità, anche solo motivato dai tanti quattrini russi che eventualmente giungerebbero, sarebbe un atto dovuto. Perfino come scuse ufficiali a chi, a quella storia della “telefonata non aspettata”, canticchiandola, c’ha veramente creduto. Pur, come Stefan, non capendone affatto il significato.

Doppio stop per la top

Conosco fanciulle che l’hanno fatto sul serio. Ragazze, non sempre giovanissime, che, confidando maggiormente nella saggezza popolare più che in un minimo di buon senso, hanno verificato alla lettera se il proprio seno rientrasse nella misura perfetta richiesta dalla “coppa di champagne”. Dimensione ideale che, secondo la tradizione, risalirebbe addirittura alla sfortunata e spendacciona sovrana francese Maria Antonietta, scomodata inutilmente, suo malgrado, per la seconda volta dopo la più nota (e altrettanto falsa) storia delle brioches. Per fortuna, nel caso di noi maschietti, non esiste una leggenda che racconti di un equivalente contenitore di vetro, che so, un calice o forse meglio un flute, sennò, abituati a gareggiare sin dai tempi delle famose docce negli spogliatoi delle scuole, ne avremmo combinati di disastri. Volgarità e doppi sensi a parte (il blogger è malizioso, si sa), dopo esserci occupati da poco di chirurgia estetica (http://www.tempiguasti.it/?p=1187), ritocchini e ovviamente di sovrabbondanza di décolletés (nel senso di seni sospettosamente extralarge, non di collezioni esorbitanti di scarpe)  ecco che proprio questi giorni è scoppiato un piccolo caso intorno alla curiosa vicenda della top model britannica Jourdan Dunn. La quale, a suo dire, sarebbe stata cancellata all’ultimo minuto dalla sfilata di alta moda di Christian Dior, in programma proprio ieri nel calendario della couture parigina, a causa delle dimensioni, ritenute “eccessive”, del suo seno  (http://www.vogue.co.uk/news/2013/07/02/jourdan-dunn-cancelled-from-dior-couture-show). Ora, premesso che la signorina in questione non è esattamente Serena Grandi (piccola parentesi al riguardo: ne La grande bellezza di Sorrentino la Grandi compare in un cameo interessante…ma non è sembrata anche a voi meno popputa del solito?), che puntuale da anni, durante le settimane della moda, riparte la solita solfa sulle modelle troppo piccole, troppo piatte, troppo magre (che poi sono l’80%), e che una storia del genere potrebbe farci gridare allo scandalo e ovviamente solidarizzare con la povera mannequin scaricata dallo show, l’episodio però, sotto sotto, puzza fin troppo di abile mossa pubblicitaria. Jourdan Dunn è infatti una giovane top model di colore (classe 1990) dalle quotazioni in ascesa, dalle rispettabilissime misure, tutt’altro che giunoniche (83 – 60 – 89 per un 1.78 di altezza, un’acciuga), che da 5 – 6 anni magazine e agenzie ci propinano ostinatamente come la presunta erede di Naomi Campbell. Senza successo. Perché non è bastato farla sfilare, solo l’anno scorso, accanto alla più nota (e più agée) Venere Nera e allo scultoreo David Gandy (c’eravamo già occupati anche di lui, http://www.tempiguasti.it/?p=1021) in occasione delle ultime Olimpiadi di Londra (foto allegata), con un vistoso (e di dubbio gusto) copricapo dorato. Macché: il giorno dopo, la Dunn veniva ricordata, in tutto il mondo, come la sconosciuta con il gallo cedrone in testa. Stavolta allora ci ha riprovato: twittando lei stessa, con un pizzico di ironia (questo almeno le va riconosciuto) il presunto “licenziamento” ad opera della maison Dior: “ahahhahhahah, sono stata cancellata da Dior a causa delle mie tette” ha cinguettato proprio ieri la bella inglesina, “di solito succede perché sono nera”. Zero originalità anche in questo: le medesime accuse di razzismo al dorato mondo della moda le aveva già mosse, più o meno 25 anni fa, la stessa Naomi. Toccherà inventarti qualcos’altro, cara Jourdan, per far partire come si deve questa carriera. Meglio se con un po’ più di vento in poppa.