Mal Comune?

▶ Dj Angyelle feat. Cladì & Curio 247 – It’s Up To Me – YouTube.

Detesto le generalizzazioni, il parlare per grandi gruppi, estendere i ragionamenti includendo diverse classi di individui quando poi sarebbero i singoli individui, proprio in quanto singoli, a fare la differenza. Riconosco però che quando si tratta di affrontare in toto la categoria “italiani” esistono dei pregi e dei difetti collettivi in cui, peccando forse un po’ di superficialità e approssimazione, bene o male dimostriamo quasi tutti, senza troppi sforzi, di possedere alcune precise caratteristiche appartenenti a un ventaglio di comportamenti, reazioni o risorse, presto riconoscibili come “peculiarità nazionali”. E lo scenario politico di questi giorni, le accese modalità di discussione o di vero e proprio scontro che hanno trasformato il parlamento italiano, nelle ultime settimane, in uno squallido campo di battaglia, è purtroppo soltanto l’ennesimo esempio di una delle nostre peggiori qualità, l’inettitudine al dialogo. Prescindendo dalle ragioni o dai torti, dalla classica frase a cui si ricorre come solita, inoppugnabile, giustificazione, quel “hai cominciato prima tu”, che ogni cittadino adulto dotato di senno dovrebbe aver abbandonato con la fine delle elementari, i toni deplorevoli con cui si è svolto il recente dibattito politico, hanno prodotto soltanto l’effetto deleterio di sviare il necessario confronto dai contenuti a favore di milioni di digressioni su una forma irrispettosa e inaccettabile. Parole vergognose come “boia”, “squadristi”, “stupratori”, così come i ceffoni sonori volati tra parlamentari o la ripugnante pratica dei libri dati al rogo non dovrebbero esattamente rientrare nella prassi quotidiana con cui si conduce una normale e civile discussione, ma farci innanzitutto gridare allo scandalo, muovere la nostra indignazione, spero non addirittura farci rimpiangere una vecchia conoscenza decaduta che apostrofava qualche illustre collega straniera come “culona inchiavabile” (lungi dal me il rimpiangerla, sia chiaro). Macchè, niente, tolleriamo senza battere ciglio o addirittura difendiamo a spada tratta, acriticamente, qualsiasi uscita fuori luogo o pesante insulto proveniente dalla parte politica che ci rappresenta per il solo fatto che ci rappresenta, senza metterne in discussione il valore, la decenza o piuttosto il loro esserne del tutto privi. Succede inoltre, in questo Paese che ha fatto del paradosso e della contraddizione la sua cifra stilistica più riconoscibile, che quando invece ricorriamo al sarcasmo e all’ironia – e in questo, come popolo, abbiamo talento da vendere – per mettere alla berlina innanzitutto noi stessi, per sorridere in maniera catartica dei nostri mali e delle nostre pecche, per sbeffeggiare i nostri vizi imperanti, ecco che allora si sollevano inutili polveroni mediatici sul caso, si scatenano reazioni spropositate rese ancor più vivaci da un’energia e da un piglio battagliero che in altre, più importanti, circostanze rimangono invece sopiti. Vado a riassumere l’ultimo, eclatante episodio: c’è un piccolo comune di 50.000 abitanti, Nichelino, in Piemonte (fino a pochi giorni fa noto soprattutto per ospitare il celebre complesso sabaudo della Palazzina di caccia di Stupinigi), il cui sindaco decide di mettere a disposizione gli spazi del proprio municipio come set in cui girare un videoclip musicale (video allegato). Il brano, It’s up to me, un motivetto disco orecchiabile firmato Dj Angyelle con la partecipazione della cantante Claudia Padula, in arte Cladì, ha in realtà il suo punto di forza nelle immagini del video stesso, un piccolo capolavoro di satira in cui si prende in giro un po’ di tutto: l’inefficienza e la fannullaggine dei dipendenti pubblici (la stessa che ci irrita ritrovare in ogni puntata de Le Iene), i ricatti, i mezzucci e gli intrighi di palazzo, ma soprattutto la vanità dei politici piacioni che si lasciano sedurre da belle e provocanti fanciulle, appoggiandone la carriera (e qui c’è mezza storia recente d’Italia). Apriti cielo: immediate le proteste da parte dei comuni limitrofi così come degli esponenti dello stesso partito e della giunta regionale che chiedono l’immediato ritiro del video, (http://www.affaritaliani.it/cronache/nichelino-video-hard-comune060214.html), accusato di essere sconveniente, offensivo, addirittura hot, mentre non si placa la bufera sul sindaco (che tra l’altro compare in coda nei ringraziamenti della clip stessa) per aver permesso un simile oltraggio al decoro istituzionale del posto. Peccato che il video non sia, alla fine, né troppo osé, così come tanta stampa sembra sostenere, né particolarmente volgare, in ogni caso sempre meno di tutto ciò che siamo abituati da tempo a vedere in qualsiasi trasmissione tv, dal quiz pomeridiano al noioso talk show politico. Peccato constatare, in conclusione, che siamo di fronte alla solita bravura, all’italiana, di riuscire a polemizzare a oltranza sul nulla. In questo, dobbiamo ammetterlo, non abbiamo rivali in tutto il mondo.

Welcome back!

Kanye West – Bound 2 (Explicit) – YouTube.

Dovrei arrendermi all’evidenza dei fatti: non ne sono all’altezza. Di fare il tuttologo, intendo, di riuscire ogni volta a individuare circostanze, persone, nomi (cose, città…ve lo ricordate il gioco? Quello con la lettera iniziale, che il colore con la F veniva sempre e solo Fucsia, che poi non ci si metteva mai d’accordo se si dovesse scrivere Fucsia o Fuxia…vabbè, la smetto di divagare) che meriterebbero invece di essere trattati con la giusta competenza e il necessario rilievo. E’ vero, ho peccato di superbia (e quando mai!?) e di conseguenza ho modellato il mio blog secondo una strategia più presuntuosa che ambiziosa, dividendolo in quattro categorie (ve ne eravate già accorti, giusto?) come se potessi indifferentemente occuparmi di musica, tv, scienza, costume, poltica e moda, saltando da un argomento all’altro con l’agilità di Bolle sul palco (a proposito, divinità in ascolto, nella prossima vita rinascere con quell’involucro lì, lo stesso – o anche simile – del nostro Roberto dico, non mi dispiacerebbe, ecco. Prendi nota). La triste verità è, al contrario, tutt’altra: quel poco di cultura che possiedo è difatti estremamente settoriale, limitata com’è alle nozioni basilari di storia della moda faticosamente studiate anni or sono e poi accresciute un pochetto con la passione e la professione (che spesso, per fortuna, hanno finito per coincidere). Il resto si tratta più banalmente di gusto personale, il mio ovviamente, neanche così raffinato se vogliamo, caratterizzato da una vena pop-retro-trash in campo musicale e televisivo, da una sfumatura dispregiativa in campo tecnologico e sportivo, da una totale repulsione verso fenomeni che non mi suscitano il benché minimo interesse e che invece poi irrompono ovunque con tutta la loro potenza mediatica, lasciandomi così escluso dal mondo. Vi riporto soltanto l’ultimo esempio: Kim Kardashian. Signorina (non riesco a trovare una definizione adatta alla sua professione: socialite? prezzemolina? un aiutino?) americana di origine armene, figlia di Robert, l’avvocato che ha fatto assolvere O.J. Simpson, fortunosamente dotata di un fisico esplosivo seppur mignon (sotto il metro e sessanta, si vocifera), protagonista oltreoceano, da anni, di reality show da picco d’ascolto e di gossip tra il sentimentale e lo scandaloso.

Salita alla ribalta per una copertina senza veli su Playboy nel 2007 e un video porno (pare) privato, diffuso in rete (pare) a sua insaputa, secondo una modalità già sperimentata da Paris Hilton (l’altra modalità per la fama in tempi brevi, quella dell’arresto per guida in stato di ebbrezza, alla Lindsay Lohan per capirci, è stata invece preferita proprio in questi giorni dal cantante Justin Bieber), l’ho sempre, volutamente, snobbata come personaggio e forse perfino sottovalutata. Mi ripetevo: sì, non è brutta, ma in fondo è quasi una replicante di Jennifer Lopez (anche per la fama che si concentra tutta sul suo lato B), ma al contrario di J.Lo che almeno recita, cant(icchi)a e ball(icchi)a, Kim è solo e semplicemente tanta, come tante altre. Sparirà presto, mi illudevo, inutile considerarla, con quel cognome lì poi, che fa un po’ detersivo per il bucato, avrà i suoi 15 minuti di fama, dopo di che verrà inghiottita dal nulla. E invece no. Le basta qualche comparsata in alcune serie televisive, il lancio di una sua linea di moda, attività che non si nega mai a nessuno (stilisti che sgobbate per avere un vostro spazio, non sarebbe ora di una rivoluzione per opporvi alle milioni di bonazze che vi rubano il mestiere?), un vita sentimentale condita da matrimoni lampo con sportivi e cantanti di successo, ed ecco che la permanenza tra le dive (?) più pagate negli Usa e presenti su stampa e web è assicurata. Gli ultimi esempi? Dopo l’attuale relazione con il rapper Kanye West, da cui ha avuto lo scorso Giugno una bambina, chiamata North (e noi che prendevamo in giro la Gregoraci e Briatore per aver scelto Nathan Falco) e qualche chilo di troppo messo su durante la gravidanza (oh, un briciolo di umanità), l’instancabile Kim ci tiene a far sapere al mondo di essere ritornata in forma. E lo fa comparendo, in versione bionda e con un repertorio di espressioni vagamente somiglianti alla nostra Carmen di Pietro, nell’ultimo video della hit del suo compagno, Buond 2 (video allegato), che vi sfido a guardare per intero senza riuscire a ridere o ad esclamare “ma che è ‘sta porcata?”. Non contenta di aver sfoderato cotanto buongusto, nelle ultime settimane Kim si è prodigata nel pubblicare sul suo profilo Instagram ( http://instagram.com/kimkardashian# ) numerosi autoscatti carichi della solita, evidente, classe, che però hanno sollevato in rete perfidi (e legittimi) dubbi sull’uso o meno di photoshop per ritoccare le sue curve. Vorrei avere anche il vostro parere in proposito. E ditemi se non sarebbe meglio continuare a ignorarla.

Demolition girl

▶ Miley Cyrus – Wrecking Ball – YouTube.

A me suscita tanta tenerezza. Non sto scherzando, è davvero ciò che provo ad ogni sua apparizione. Ogni volta che le vedo sbattere, ad esempio, quegli enormi occhioni azzurri, strabordanti di mascara, nel goffo tentativo di restituirci una pessima imitazione di uno sguardo ammaliante o sexy. Quando osservo le sue foto, quasi sempre poco e mal vestita, mortificata da abiti di un eclatante cattivo gusto (mai pensato di licenziare lo stylist?) congelata in pose innaturali e volgarotte, maldestramente atteggiata sui red carpet di tutti i più noti eventi musicali, davanti ad obiettivi impietosi, che ne ritraggono la pressoché totale mancanza di sensualità. Non so come spiegarlo, ma mi prende un’incontenibile, quasi fraterna, voglia di raggiungerla, porgerle un accappatoio, sussurrarle “Dai, copriti, lo vedi che non è il caso”, darle un’amichevole pacchetta sulla spalla, due pizzicotti alle guance, suggerirle “adesso andiamo a casa, ti sciacqui il viso, ti rimetti quel grazioso vestitino a fiorellini e torniamo qua, contenta?”. Perché se ti è toccata in sorte la (s)fortuna di cominciare giovanissima la tua carriera in quella fucina di talenti a stelle e strisce che è il Disney Channel (lo stesso da cui poi sono partiti Britney Spears, Christina Aguilera, Justin Timberlake…l’equivalente, per numero di volti sfornati, del nostro Non è la Rai, ma con meno gnocca), se devi parte del tuo successo a quell’immagine di brava ragazza americana, un po’ in salute, tutta sorrisi bianchissimi e vitamine, non è che di colpo ti puoi improvvisare una trasgressiva bad girl e pretendere di risultare per giunta credibile. Eppure qualcuno dovrebbe spiegarglielo a Miley Cyrus (all’anagrafe Destiny Hope Cyrus, per chi pensava che certi nomi fossero solo appannaggio di Brooke di Beautiful), ventenne cantante/attrice/produttrice/già milionaria, figlia d’arte (papà Billy Ray è uno dei tanti, da noi sconosciuti, cantanti country capelloni), esplosa come fenomeno planetario nella serie tv Hannah Montana e ora in cerca di nuova gloria come più matura (e più svestita) icona pop. Non basta ossigenarsi o rasarsi a zero i capelli (azione peraltro già tentata, più fortunosamente, dalla stessa Britney in uno dei suoi impeti schizofrenici), ricoprirsi ovunque di numerosi e insulsi tatuaggi, simili a scarabocchi, leccare voluttuosamente un martello (un martello? ma ti sembra erotico?) e volteggiare in mutande o completamente nuda in groppa ad una palla da demolizione, che guarda caso, è anche il titolo dell’ultima hit (video allegato). Mi spiace, ma da tempo siamo abituati a ben altro: ai torbidi tweet di Rihanna intenta a rollarsi sigarette sospette, alla genialità di Lady Gaga tutta rivestita di braciole, per non parlare dell’insuperata Madonna, che da decenni va avvinghiandosi a crocifissi come a tizi nerboruti, che va mimando sul palco amplessi con donne/oggetti/pavimenti, e tu Miley vuoi scandalizzarci mostrandoci un po’ di lingua, mezza tetta e tre quarti di chiappa? Ma se perfino Cher, una che nonostante il triplo dei tuoi anni potrebbe farti ancora le scarpe, ma che insomma, un esempio di stile e raffinatezza non lo è mai stata, ti ha più volte duramente criticata, perché non darle ascolto? Perché purtroppo, nonostante l’impegno profuso per affrancarti dalla  precedente immagine di divetta acqua e sapone, questa svolta sexy nella tua carriera, la tua nuova canzonetta e il relativo video pseudointrigante, saranno forse ricordati, in futuro, solo per l’involontaria, rappresentativa, metafora. Una grande, pesantissima, palla.

Al posto tuo

See how easily freaks can take over your life – YouTube.

Non so voi, ma io rientro in entrambe le categorie “a rischio”. La prima, e non c’è nulla di cui vantarsi al riguardo, è quella dei tipi distratti/svagati/ingenui che in più occasioni sono stati vittime di furti di ogni tipo. A me, ad esempio, hanno rubato anche le mutande. E lo dico senza un briciolo di ironia. Perché, non contenti di avermi fatto fuori, nel tempo, telefonino (sparito una mattina in metro), portafogli (scomparso sul lavoro, con tanto di biglietto del treno all’interno, tornai a casa solo grazie a una colletta dei colleghi), bancomat (clonato, con due prelievi secchi il mio conto scese a 55 euro), macchina (la prima, una Y10 dell’ ’89, un catorcio, mi illudevo, inguardabile perfino agli occhi di un ladro), pochi anni fa riuscirono a sottrarmi, con mio enorme stupore, anche i fili per i panni con buona parte della vecchia biancheria stesa ad asciugare. Neanche ne indossassi di firmata. Così, per superare lo shock procurato dall’anomala rapina, i primi tempi mi ero volutamente autoilluso che la mano di un simile, inspiegabile gesto, fosse per forza quella di un qualche anonimo, audace e forse un po’ feticista corteggiatore, il che dava a tutta la vicenda un tono molto più romanzesco e romantico. Versione che cadde come un castello di carte appena scoperto, parlando con il resto dei condomini, che nella stessa occasione furono anche rubate le camicette con colletto ricamato della vicina ultraottantenne e le scarpe da calcetto n. 32 appartenute al bambino degli inquilini del piano di sotto. La mia bizzarra storia dello spasimante squinternato, che in uno slancio passionale si era appropriato dei miei boxer e dei miei calzini, ormai, non reggeva più.

L’altra, forse più diffusa, categoria, perfettamente in linea con il tema di questo post, è quella che raccoglie chi, come me, allestisce quotidianamente una vetrina sulla propria esistenza attraverso le pagine di un social network. Quelli che, in maniera maniacale, per vanità, divertimento, solitudine o anche solo per la virtuale necessità di un qualsiasi pubblico, condividono, con amici o estranei, migliaia di loro stati d’animo, di foto buffe o ritoccate, di veri e presunti interessi, indicando spesso anche il punto esatto della loro posizione sulla faccia della terra, in qualsiasi momento della giornata, le persone con cui si trovano, le pietanze che stanno mangiando. Specificato che non tutto il materiale in circolazione sui vari social può essere definito “degno di interesse” (io, ad esempio, trovo particolarmente noiosi poi i mille scatti di tavole imbandite e piatti trasudanti cibo), è pur vero che, in maniera contraddittoria, ci troviamo a riempire i nostri spazi online di svariati dettagli, anche i più privati, sulla nostra vita e sui nostri gusti, affidando di fatto alla rete milioni di indizi su chi siamo, cosa facciamo, come viviamo. E se tutti queste informazioni, fornite peraltro da noi stessi senza alcuna richiesta, venissero infine usate da qualcun altro per ricostruire un alter ego che possa sottrarci la nostra identità? E’ la conclusione, paradossale e inquietante, a cui giunge la nuova campagna di sensibilizzazione (video allegato) per la privacy online di Febelfin realizzata da Duval Guillame Modem, agenzia già vincitrice, lo scorso anno, di un Leone d’oro a Cannes per un cortometraggio sullo stesso argomento (http://www.youtube.com/watch?v=F7pYHN9iC9I). Poco più di 4 minuti per riflettere sugli eventuali rischi connessi a quando raccontiamo (troppo?) di noi e ci esponiamo, più o meno consapevolmente, sul web, e quanto tutto ciò possa essere dannoso o controproducente. O riservarci un domani pessime sorprese, decisamente peggiori di un banale furto di biancheria su cui fantasticare.