Le faremo sapere

Può succedere a chiunque, in qualsiasi momento della vita. Che siate giovanissimi o 29enni bugiardi e recidivi, come me, che abbiate una preparazione formidabile e competenze assai richieste o un’affascinante quanto inutile laurea in storia del costume, come la mia, lasciata a marcire in qualche cassetto della segreteria dell’Università. Che siate poco abituati agli scossoni professionali e a rimettervi in gioco ogni due, tre anni o ormai rassegnati, al pari del sottoscritto, a cercare di far fronte alle spese quotidiane con spericolati equilibrismi che richiederebbero il dono dell’ubiquità. Può succedere a chiunque, dicevo, di trovarsi improvvisamente o di nuovo senza più un lavoro e di doversi rimettere a capo chino a cercare un altro posto o un altro impiego, una sfida che può diventare ogni volta più sfiancante e temibile della precedente. Esattamente quello che sto vivendo io da qualche mese, da quando, dopo aver rifiutato con un moto di orgoglio e di incoscienza, un gratificante ma sottopagato incarico professionale svolto negli ultimi tempi, ho ricominciato a inondare il web di curriculum e proposte di collaborazione, migliaia, a cui sono arrivate risposte (poche) più o meno incoraggianti. Quella che segue è perciò la sintesi semiseria, in forma di dialogo, degli strampalati ma reali incontri con i vari personaggi che hanno dimostrato un minimo d’interesse alla mia nuova e coraggiosa richiesta di un lavoro. Buon divertimento:

- Responsabile comunicazione azienda di moda: “Sarò sincero, è difficile inquadrarla all’interno di un’azienda, ha avuto tante esperienze così diverse. Il suo curriculum sì, è piuttosto interessante, però è, come dire…” “Eclettico? (boh, gli butto lì un aggettivo, magari gli è di aiuto!)” “Sì, eclettico, stavo quasi per dire schizofrenico, ma eclettico può andare. Ecco, e lei lo è?” “Schizofrenico? (ma che gli sembro matto?)” “Intendevo dire eclettico” “Ah, scusi, non avevo capito (e niente, con questo tizio non c’è proprio feeling)”.

- Responsabile comunicazione azienda di moda 2: “E mi dica, Alessandro è più veloce o più preciso?” “(ma ora perché parla di me in terza persona? e che razza di domanda è? Di sicuro è un trabocchetto, proviamo a pensarci un attimo. Però ci sto impiegando troppo tempo a rispondere, non posso mica più dirgli “veloce”, sembra quasi lo prenda in giro) Beh, direi più preciso!” “Ok, però si ricordi che anche la tempestività è importante nella comunicazione!” “Quindi avrei dovuto rispondere veloce? (lo sapevo, era un trabocchetto).

- Responsabile progetti digitali agenzia eventi: “Le va di parlarmi dei suoi genitori?” “(e questa poi? mica sarò finito, senza saperlo, dallo psicoanalista? Qui c’è qualcosa che mi puzza, proviamo prima a tastare un po’ il terreno) Certo. Potrei solo sapere, per curiosità, perché me lo sta chiedendo?” “Serve per valutare la sua reazione emotiva. Un’altra candidata, per esempio, alla stessa domanda mi è scoppiata in lacrime” “Ah, capisco (oddio, mica tanto). Ma non si preoccupi, non è mai successo che abbia pianto parlando dei miei. Forse, di questi tempi, è più probabile il contrario. Ma dovrebbe chiedere a loro!

- Agenzia di lavoro interinale: “Vedo dal suo cv che la sua conoscenza dell’inglese è ad un buon livello. Al punto che potremmo continuare questa nostra conversazione in inglese?” “Beh, sì, se vuole (capirai, fino adesso abbiamo parlato solo delle stranezze del tempo e di quanto faccia caldo oggi)!” “Ah, no, si tratta di una semplice domanda di routine. Si figuri, io poi ho studiato francese!” “Quindi la sua valutazione del mio livello d’inglese è, diciamo così, basata sulla fiducia? (averlo saputo prima mi sarei spacciato per madrelingua!).

- Agenzia di lavoro interinale 2: “Però, ha lavorato anche in tv. Ma non mi sembra di averla mai vista! “(Eh? Ho capito male. Cioè, sta pensando sul serio che comparissi davanti alle telecamere? E chi mi crede, Gerry Scotti?) Ecco, vede, lavoravo in una redazione tv. Significa che scrivevo testi e curavo dei pezzi per una piccola trasmissione, ma dietro le quinte, diciamo” “Ah, sì, infatti nel suo curriculum ha messo “redattore” “Appunto. Era quello che facevo. Sennò avrei scritto “conduttore” (o valletta. Questa però è scema forte).

- Addetto comunicazione casa di produzione (via e.mail). “Gentile dott. Guasti, avremmo bisogno, per fissare un colloquio conoscitivo, anche di un suo curriculum più “motivazionale” (scritto proprio così, tra virgolette). Ad esempio, cosa l’ha spinta a cercare una collaborazione qua da noi”. “Gentile dott. Vattelappesca, direi innanzitutto la mia voglia di misurarmi in un ambiente di lavoro stimolante, la curiosità verso un’azienda qualificata come la vostra…(e giù un’intera e.mail di salamelecchi e false carinerie)”. La data del colloquio ovviamente non è mai più stata fissata. Colpa mia: forse avrei dovuto allegare anche l’ultima bolletta del gas da 634 euro. Sarebbe sembrata di certo più “motivazionale”.

- Titolare studio comunicazione (via e.mail): “Gentile dott. Guasti, potrei incontrarla per un colloquio conoscitivo appena avremo terminato i lavori per un nostro cambio di sede. Mi ricontatti alla fine del mese”. Dopo un mese “potremmo fissare un giorno al mio rientro dalle ferie. Mi chiami tra due settimane”. Dopo altre due settimane “Mi dispiace, ma ho avuto un piccolo infortunio alla gamba, non so dirle quando potremmo incontrarci”. Ora, non so se quell’infortunio sia vero. Posso dire che da una parte me lo auguro tanto?

- Titolare ufficio stampa: “Leggo qui che ha anche un blog. E di cosa scrive?” “E’ solo un piccolo progetto personale, mi diverto a scriverci un po’ di tutto, di moda, di costume, delle varie notizie che mi colpiscono e della mia vita privata. Scrivo tante cretinate, soprattutto” “Ah. Immagino che lo utilizzerà anche per togliersi qualche sassolino dalle scarpe” “In realtà no, finora non è mai successo. Però lo sa che mi ha appena dato un’ottima idea?”

Di notte specialmente

“Ti ricordi, vero, che stasera siamo a cena con i miei colleghi?”. Sono quasi le 18.30, devo tassativamente consegnare per il giorno seguente un articolo di 8.000 – 10.000 battute su una serie di negozi di moda, e come al solito, quando mi ritrovo immerso nella scrittura, perdo ogni riferimento spazio – temporale. A riportarmi all’urgenza della realtà ci pensa appunto la premurosa telefonata del mio amore. “Ma certo” replico io, tentando nel frattempo di dare un senso compiuto alla frase che mi è rimasta tronca sul monitor, “stavo chiudendo un pezzo, ma posso tranquillamente finirlo dopo. Tanto la sera sono più rilassato e faccio più in fretta. A che ora è l’appuntamento?” “Alle 8. E cerca di essere puntuale. Ci vediamo lì”. Peccato che “lì” significhi un paesino semisperduto arroccato su una collina distante almeno una mezz’ora di curve che si snodano a mo’ di mulattiera nella campagna toscana. Peccato che sia da ore pietrificato davanti allo schermo per cercare un aggettivo che non abbia già usato in precedenza nel mio testo, e non sia neanche al primo step del serrato programma ‘doccia – barba – stirati la prima cosa che trovi pulita – cerca anche di abbinarla – ricordati dove hai parcheggiato la macchina’, necessario per arrivare in tempo alla cena. Riesco però nel miracolo. Alle 20.05 (cinque minuti di ritardo, direi trascurabile) sono già, quasi impeccabile, nel posteggio del ristorante. Arrivato prima di tutti, tra l’altro. Forse un tantinello nauseato per la corsa in auto. L’articolo però e rimasto incompiuto. Ma posso terminarlo più tardi. La sera di solito scrivo più rapidamente. O così credevo.

Ore 23.44: rientriamo dalla cena. Divertiti, sazi, per fortuna neanche un po’ brilli, perché devo rimettermi per forza sul mio pezzo. Sottovalutando forse l’incidenza che il fritto di antipasti e la doppia porzione di cheesecake possono avere sulla mia creatività, riaccendo il pc. “Ti dà fastidio se guardo un po’ di tv?” mi chiede il mio amore, sprofondando sul divano e facendo partire sullo schermo le repliche di The Voice. “No, figurati, qui ho quasi fatto”. In effetti devo solo parlare degli ultimi due negozi. Scopro però di avere al riguardo delle cartelle stampa telegrafiche, in inglese. E delle foto minuscole. E ora, che scrivo?

Ore 00.31: “Vado a dormire, tu che fai?”. “Tra poco ti raggiungo, spero”. “Lascio accesa la tv?” “NOOO, ehm no…anzi, semmai togli il volume, così mi concentro meglio” “Ok, ‘notte”. Solo, in salotto, dal televisore ormai muto sbuca Shakira che pubblicizza uno yogurt e Kevin Costner in uno spot di una nota marca di tonno. Ho le allucinazioni? Tolgo gli occhiali, guardo dalla finestra, mi sembra di vedere una capra. Rimetto gli occhiali, la capra è in realtà un tizio che sta spingendo a piedi uno scooter. E’ ufficiale, ho le allucinazioni. Oltre a una pessima vista.

Ore 01.03. L’articolo è quasi pronto. Do un’occhiata alle battute: 7596. Troppo poche. Decido di dare avvio a quella che in gergo tecnico si chiama “operazione allunghiamo il brodo”. Comincio a spargere nel testo parole dalla funzione riempitiva, una pioggia di “così” “dunque”, di avverbi in “mente” che prendono sempre tanto spazio, potessi scriverei anche “supercalifragilistichespiralidoso” ma credo che non me lo passerebbero mai. Riconto le battute: 8891. Ci siamo. Le frasi sullo schermo restano però selezionate, pigio distrattamente con il gomito qualche tasto sul pc e puf, ecco che mi sparisce tutto l’articolo. Che non avevo più salvato. Mandando così in fumo l’ultima ora e qualcosa di lavoro. Tocca ricominciare. Di nuovo. Sgrunt.

Ore 01.34: Tra imprecazioni e scoraggiamento tento di ricostruire l’ultima parte del testo andata irrimediabilmente persa. Contemporaneamente la mia vicina di casa brasiliana, nota per esibirsi spesso alle 6 del mattino, all’aperto, in una discutibile interpretazione di Like a Virgin, opta questa volta per una variazione sul tema “annaffiamento notturno del giardino con lite con il fidanzato”. E’ sufficiente per fortuna una mia comparsata alla finestra, tipo pontefice, ma con la faccia visibilmente più scura, per farli rientrare, in silenzio. Torno a scrivere.

Ore 02.12: Passaggio preoccupato nel corridoio, con occhio chiuso e voce intrisa di sonno, del mio amore. “Sei ancora lì?” “Lasciamo perdere. Ma ci sono quasi, eh!”. Biascica qualcosa di incomprensibile, poi si dirige di nuovo in camera. Che cosa diamine avevo scritto di questo negozio? Se solo avessero messo due informazioni invece di questa cartella stampa così risicata. O un’altra immagine. Incompetenti.

Ore 02.39: L’articolo è finito. Per la seconda volta. Le battute sono più di 9000. Poi l’avrò salvato almeno un centinaio di volte. Tranquillo, la situazione è tutta sotto controllo. Grande respiro di sollievo, posso andare a dormire.

Ore 02.44: In bagno mi tolgo i gioielli che in genere indosso, due catenine, tre bracciali, quattro anelli. Quello in argento al medio sinistro decide, proprio stanotte, di non venire via. Tento con l’acqua fredda, con il sapone, con una forza che di solito basterebbe a staccarmi di netto il dito. Niente da fare: l’anello non sale oltre la seconda falange. Pazienza, dormirà con me. Piombo finalmente sul letto.

Ore 03.56: Mi sveglio di soprassalto. Il dito con l’anello recalcitrante adesso è più gonfio e leggermente dolorante. Non sarà che la mano si è ingrossata perché ho scritto troppo? MA L’HO INVIATO IL PEZZO? NOOOO? Mi alzo di colpo, non trovo gli occhiali, inciampo in un paio di scarpe, raggiungo stordito il pc, lo riaccendo, controllo la posta elettronica. La casella dei messaggi inviati è vuota. Riesco a scrivere due righe deliranti al mio direttore, allego finalmente l’articolo, spedisco il tutto. Furioso, stanco, demoralizzato, ritorno a letto.

Ore 05.17: A svegliarmi stavolta è il forte dolore proveniente dal dito incriminato, che non riesco più minimamente a muovere o a piegare. Mi alzo sfinito per la seconda volta, vado in cucina, accendo la luce, al posto del medio mi sembra di avere qualcosa vagamente somigliante a un salsiciotto violaceo, con addosso un collare d’argento. Provo a ungerlo con l’olio (il sonno aguzza l’ingegno), fino a che, circa al ventesimo strattone tentato, tra urla soffocate e smorfie di sofferenza, riesco finalmente a sfilarmi l’anello. Torno un’altra volta in camera, deciso a  rimanere a letto, l’indomani, fino all’ora di pranzo.

Ore 07.02: Suona la sveglia del mio amore. Che in genere non sento. Ma proprio oggi? Ma perché poi quei due minuti in più dopo le 7? Bah.

Ore 08.22: Scopro che quella che credevo una professione ormai estinta, cioè l’arrotino, non lo è affatto. E nel peggiore dei modi, poi. Perché, forse uno degli ultimi rimasti in circolazione, si piazza, con tanto di registrazione autopromozionale diffusa a gran volume da un altoparlante, proprio sotto la mia finestra. Ok, mi alzerò. Niente riposo a oltranza. Il dito, almeno, si muove. Non che abbia pensato di salutare l’arrotino con un gestaccio (però, come se lo sarebbe meritato). Vabbè, rassegnato, comincio a prepararmi la colazione. Quasi quasi più tardi mi metto a scrivere anche qualcosa per il blog. Ho deciso che di mattina, d’ora in poi, mi riuscirà meglio.