Sarà la nostalgia…

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Sarà che l’estate vola via. E dai, non facciamo tanto i precisini, lo so anch’io che tecnicamente la bella stagione prenderà l’avvio solo domani, e stare a disquisire adesso sulla rapidità del suo passaggio, dopo mesi di attese, burrasche e tentennamenti meteorologici, soprattutto a poche ore dal suo sospirato inizio, sarebbe, a dir poco, inopportuno. Era soltanto per prolungare nell’incipit la citazione canora presa in prestito per il titolo. Ah, no, di quale brano si tratti di preciso non ne ho proprio idea. Sarà sicuramente una di quelle vecchie canzoni melodiche nostrane, le cui rime baciate cuore-amore mare-nuotare-pescare rimangono da sempre incollate come francobolli alla memoria a dispetto della tua ostinata volontà di sbarazzartene. Sarà che ad ogni benedetto Giugno sento l’anima soffrire e scalpitare sotto il peso dell’afa cittadina, per supplicarmi in ginocchio di fuggire, il prima possibile, nella selvaggia solitudine di qualche lido sperduto, di quelli zeppi di tronchi ricurvi e biancastri finiti chissà come sulla riva, accarezzati dalla freschezza delle onde, la stessa che sembra rigenerare anche te non appena arrivi a sfiorarla con i piedi. Sarà che invece per il momento non mi è sembrato abbastanza regalarmi un fugace week-end all’isola del Giglio, dove, tra l’altro, provato da un decennio di nullafacenza sportiva e dall’età, quella vera, che difficilmente confesso, mi sono sentito in buona compagnia alla vista un relitto (e se vi sembra di cattivo gusto una battuta sulla tragedia della Concordia, dovreste vedere i centinaia di babbei che ancora fremono sin dall’arrivo in porto per immortalarsi in un selfie con la nave naufragata). Sarà che implacabile, sulla bilancia, è comparsa esattamente quella cifra reputata un tempo irraggiungibile, stabilita come limite teorico oltre il quale avrei ripreso a prendermi cura del mio fisico in prolungato stato di abbandono, e fedele alla promessa a me stesso (accidenti alla coerenza) ho sfidato pigrizia e pubblica ridicolaggine per provare a correre di nuovo, ogni giorno, anche solo per pochi minuti, sufficienti però per farmi sentire a posto con la coscienza e, più spesso, a un passo dalla morte. Sarà che mi rendo conto da solo di avere un’inguaribile tendenza all’esagerazione, in tutto, e so benissimo che il mio nuovo peso potrebbe rientrare tranquillamente nei canoni di una buona forma di un uomo adulto di 1.75 m di altezza, eppure continuo a pensare che ritrovarsi nei panni di Giuliano Ferrara a questo punto sia un attimo (Apro bislacca parentesi sull’altezza. Sì, sono 1.75 m, secchi. Non cominciamo con quel “no, ma via, sarai di più, almeno 1.80″. No. Non vedo la necessità di barare sull’altezza, io. No, perché più di una volta mi sono ritrovato in discussioni del tipo “Ma non è possibile, sarai più alto. Ma se sono io 1.68 m, ce l’ho scritto anche sulla carta d’identità”. Già, come se l’impiegato comunale dell’anagrafe fosse stato lì a misurarvi davvero centimetro per centimetro, o come se non vi foste appositamente presentati quel giorno col tacco 12 o in punta dei piedi). Sarà che in questi giorni è un gran parlare dappertutto di esami di maturità, e nonostante dal mio siano trascorsi quasi due decenni (e della tanto decantata “maturità” in questa vita, neanche una pallida ombra), stuzzicato nei ricordi della mia adolescenza irrequieta e spensierata, ho trascorso ore al telefono con quei vecchi compagni di scuola con cui sono ancora in contatto, a sostituire i nostri vecchi e infinti arrovellamenti su interrogazioni e compiti da copiare con il progetto concreto di una cena tutti insieme, con le ultime novità su bebé in arrivo, crisi professionali e complicazioni sentimentali. Sarà che ho sempre evitato con attenzione di comparire sui social o di farmi taggare in quelle tristi foto ingiallite risalenti alla mia infanzia, eppure quando la mia storica e preziosissima amica Loredana ha ritrovato e pubblicato quella che vedete qui, datata (ahimé) 1979, che avevo visto una sola volta, alle medie, ho rischiato sul serio di commuovermi. Sarà che trovo così teneramente buffo il mio aspetto di allora, i capelli con la frangia sbilenca che mi facevano tagliare da mia zia (perchè poi?), le orecchie grandi e a sventola (no, non le ho rifatte, nel caso vi fosse venuto il legittimo dubbio, sono andate a posto da se’. Il destro però è rimasto più grande e sporgente), quell’aria fuori luogo da bambino pseudo-iracheno ritratto in mezzo a una famiglia norvegese, tutti più o meno biondi, quasi tutti sorridenti, tranne me. Forse sarà quel medesimo e mai sedato senso di inadeguatezza, di spaesamento, di perfettibilità che, beffardo e puntuale, provo anche oggi. O forse, davvero, sarà solo un po’ di nostalgia.

E un anno se ne va…

▶ Righeira – L´estate Sta Finendo – YouTube.

Non esiste alcun rimedio, sarebbe inutile perfino tentare. Potremmo ricorrere alle scuse più banali, collaudate o assurde, sostenere che all’epoca eravamo troppo giovani, completamente all’oscuro di brani che non fossero cantati da Cristina d’Avena, o addirittura, appena venuti al mondo (seh, certo, e io ho davvero 29 anni). Potremmo spacciarci per raffinati cultori di musica italiana, di quelli che ci tengono a sottolineare, in ogni possibile conversazione, di seguire solo cantautori impegnati, che so, Battiato o De Gregori, forse Guccini, al limite Dalla ma solo gli album più vecchi, e poi invece, tengono nascosti in macchina insospettabili cd di Marcella Bella o dei Pooh, e quando, con una certa soddisfazione, arrivi a scoprirglieli, si affrettano a risponderti “no, certo che non è mio, chissà come è finito lì”. Potremmo infine negare di essere creature nostalgiche, perché gli anni sulle spalle ormai ci hanno reso immuni a certi stupidi languori sentimentali, e sentire il cuore restringersi improvvisamente è soltanto un segnale allarmante da chiarire con un elettrocardiogramma, mica roba da ascrivere alla tua vulnerabilità emotiva. Potremmo tentarle tutte, ma senza successo: perché da ben 28 anni alla fine non è mai sbucata altrove nessun’altra canzone così calzante di quella sottile malinconia da arrivederci post-spiaggia, così paradigmatica del dolore da vacanza agli sgoccioli, così fedelmente adatta alla serpeggiante tristezza di cui è intriso il clima di Settembre, al pari de L’estate sta finendo dei Righeira (video allegato). Si, proprio quel motivetto finto spensierato, che rimane accucciato, attento a non farsi scorgere, anche solo per essere distrattamente fischiettato, per undici lunghi mesi l’anno, per poi uscire d’un tratto, allo scoperto, quando meno te l’aspetti, mentre stai ancora tentando di goderti l’ultimo pallido sole per esempio, o magari sei in balìa di quel meritato relax che ti ha strappato alla fatica dei giorni lavorativi, ed ecco che lui è lì, immancabile, a ricordarti che tutte le estati prima o poi volgono irrimediabilmente al termine. E per quanto si possa a fatica ricordare poco o nulla dei suoi interpreti, a parte il fatto che non si riusciva mai a distinguere la voce dell’uno da quella dell’altro, che spesso ostentavano un look eccessivo e carnevalesco, al cui confronto anche Lady Gaga potrebbe sembrare una sobria collegiale, il brano rimane ancora un’insuperabile carrellata di immagini che restituiscono alla perfezione, fotogramma per fotogramma – gli ombrelloni, i gabbiani, i “la – languidi bri – brividi” – l’incalzante malinconia di fine stagione. Certo, come ha di recente ricordato la stampa, ai due, che si erano autoribattezzati con gli improbabili nomi di Michael e Johnson per coprire, in entrambi i casi, un molto più comune Stefano, si deve soprattutto l’invenzione del “tormentone” estivo, del brano cioè dal ritornello insidioso e martellante, onnipresente per mesi in ogni locale, stabilimento o chiosco, operazione che proprio gli stessi Righeira hanno sdoganato trent’anni or sono con l’altrettanto celebre hit Vamos a la playa (http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/righeira-vamos-a-la-playa-compie-30-anni-il-videoremix-dei-successi/137177/135722). Ma in tutta onestà credo si debba principalmente riconoscer loro il merito di aver tradotto, in una canzonetta inossidabile, ciò che ognuno forse prova quando si chiude definitivamente il sipario sull’estate, quando l’autunno alle porte sembra richiamarti alla gravità dei tuoi obblighi, dei tuoi doveri, dei tuoi compiti, giustamente accantonati per far spazio alla spensieratezza e alla levità delle vacanze. Di aver dato voce, insomma, a quell’universale e illogica sensazione di ricominciare, ogni volta, a Settembre, un nuovo anno, con nuovi progetti, nuove aspettative, nuovi buoni propositi da non rispettare; di aver soprattutto riassunto, in meno di dieci parole, la solita, perenne, inadeguatezza alla vita adulta: “Sto diventando grande. Lo sai che non mi va”.

Ma l’estate no…

Dubito esista qualcun altro così scriteriato e cervellotico, al pari del sottoscritto (che, si sa, in quanto ad abitudini al limite dell’ossessivo e a gesti ed azioni maniacali potrebbe scrivere un intero saggio) da anni avvezzo a una simile pratica, forse meno singolare di quanto creda, se vogliamo un tantinello infantile, indubbiamente superflua come lo sono la maggior parte dei miei pensieri. Però, puntale ad ogni Agosto, per non disperdere con troppa fretta il ricordo della mia stagione preferita, cioè quella in corso, che col passare del tempo rischia di sovrapporsi e mescolarsi fumosamente con gli avvenimenti e le immagini relative alle 29 precedenti estati archiviate nella mia testa (perché, per quanto dotato di una memoria semi-infallibile, succede sempre più spesso che faccia cilecca nel datare con precisione questo o quell’evento) ho messo a punto un efficacissimo stratagemma. Basta riuscire ad individuare, tra tutto ciò che accade nell’arco dei tre mesi in questione, la circostanza più caratterizzante, il dato di maggior spicco, l’occasione o il fatto in grado di imprimere un indelebile e duraturo segno di riconoscibilità alla stagione stessa, così da poter risalire un domani, con estrema facilità, alla data di riferimento, semplicemente esclamando “Certo, l’estate 2013: era l’anno del…(e qui andrebbe inserito l’elemento di cui stavo parlando, non la parolaccia che forse vi è venuta in mente!). Si tratta di un indizio, un appiglio, un aiutino mnemonico, di natura differente e variabile, a cui poter ricorrere per districare la matassa che spesso confonde i ricordi passati; può esserlo di volta in volta un brano musicale (estate 1999, Mi chico latino di Geri Halliwell, estate 2002, Aserejè delle Las Ketchup…sempre canzoni impegnate, insomma), un dato atmosferico (estate 2003, caldo torrido record, il mio primo Agosto lavorativo in città, io che non batto ciglio di fronte alle alte temperature, sudavo anche dai gomiti nonostante due ventilatori perennementi piantati su di me), perfino un’occasione memorabile, personale o collettiva, che di colpo faccia aprire con precisione il cassetto della memoria alla determinata stagione da ripescare (vanno bene anche i grandi avvenimenti sportivi, Olimpiadi o Mondiali non importa, per il solo fatto che si succedono con ciclicità ogni tot anni, seppure nella vita quotidiana, come me, non muovete un muscolo neanche sotto tortura).

Il punto è, o se vogliamo, la ragione scatenante di questo post, che per quanto riguarda l’estate tuttora in corso, ancora non sono riuscito a mettere a fuoco il suo tratto saliente, ad estrapolarne cioè anche un solo aspetto o uno specifico punto, per quanto frivolo o  criticabile, che in futuro possa permettermi di ripensare con esattezza al suo piacevole svolgimento. Non una canzone onnipresente che possa ambire all’abusato titolo di tormentone (seppur inascoltabile, per lo meno l’anno scorso Il Pulcino Pio aveva furoreggiato un po’ ovunque), non una moda o un mania nell’abbigliamento che sia degna di tale nome (meno che mai quei terribili shorts inguinali di jeans, con le tasche interne che fuoriescono sulle cosce, da evitare se non vi chiamate Belén o se avete già compiuto il 21esimo anno di età), non una bizzarìa climatica, un accadimento straordinario, una notizia eclatante (si, vabbè, hanno finalmente condannato un grottesco ex – premier, mi rifiuto categoricamente di legare il mio ricordo estivo al suo nome). L’unico, generale, sentore, che pare accomunare le mie personali conoscenze e gli articoli più battuti in questo mese dai giornali è che stavolta, purtroppo, la parola d’ordine sembra essere per tanti “rinuncia”. Temo che la bella stagione 2013 verrà soprattutto ricordata per il numero imponente di persone che fanno o faranno a meno di concedersi quello che una volta era considerato un imprescindibile must o un sacrosanto diritto: le ferie d’Agosto. Certo, si può sempre simulare un finto snobismo e motivare la propria scelta di non abbandonare la città con una frase tipo “sai, io ad Agosto non vado mai in ferie, troppo affollato, scelgo sempre Giugno o Settembre”, che suona un po’ come chi ci tiene a precisare che preferisce la montagna al mare e poi incontri ogni week-end sotto l’ombrellone sulla spiaggia. Di fatto, tra il blogger che mai come prima si concede delle striminzite vacanze a singhiozzo (colpa mia, ho scelto una carriera disgraziata), i suoi amici nel commercio che decidono di non abbassare la saracinesca o si lamentano di continuo del numero sempre più scarso di clienti e della loro tircheria, i racconti degli habitué di mete esotiche e paradisiache che invece ripiegano sul litorale sotto casa, e, per finire, i dati serissimi e puntuali riportati dalle agenzie di stampa (http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/inbreve/2013/08/02/Estate-Coldiretti-67-italiani-casa-piu-servizi-citta_9108911.html) il panorama rischia di diventare seriamente sconfortante. Perciò il mio appello: indicatemi un valido, ottimistico, scanzonato motivo per ricordarmi di questa estate. O se preferite, anche solo un nuovo Pulcino Pio.

Non è stagione

Mina – E la chiamano estate – YouTube.

Lo ammetto, non aspetto altro tutto l’anno. Che le giornate finalmente si allunghino a dismisura, regalando al mio umore ballerino il beneficio di una luce solare estesa fino all’ora di cena, che la temperatura si alzi, così che possa liberare i miei piedi orrendi dalla costrizione di calzettoni e scarpe chiuse, che si faccia più concreta l’ipotesi di una vera vacanza, di quelle condite con tanto relax e soprattutto con tanto mare (perché da Giugno a Settembre non prendo in considerazione ipotesi alternative) ora che a dire il vero non ricordo neanche più l’ultima degna di tale nome che mi sono concesso in questa vita. Perché l’arrivo della bella stagione, per il blogger astrologicamente nato sotto la piena influenza del sole (segno zodiacale Leone, ma credo s’intuisca dal mio ego strabordante anche sul web) e cresciuto in una splendida meta di vacanza affacciata sul Tirreno, malinconicamente deserta d’inverno e troppo affollata in Agosto, risveglia d’improvviso milioni di piacevoli ricordi legati al periodo e carica di altrettante aspettative i mesi venturi. E’ sufficiente l’odore di una crema solare (buono come quello del Coppertone, con Jodie Foster bambina denudata dal cagnolino, però non ne ho più sentiti) o la freschezza di una brezza serale, come solo certi tramonti di Giugno sanno offrire, ed ecco che la mia mente ripesca da chissà dove le immagini della mia infanzia a scorazzare sulla sabbia, o inchiodato da ore su uno scoglio, all’epoca giudicato altissimo, con mio padre che aspetta inutilmente nell’acqua qualcosa che assomigli a un tuffo (mai stato un esempio di coraggio), della mia adolescenza trascorsa troppo in fretta sui motorini altrui, a tirar tardi con gli amici in piccole cale poco conosciute o difficilmente raggiungibili, tra l’ingombro di chitarre e zaini carichi di materassini e palloni. Per non parlare delle sere, meglio se all’aperto, a ballare incessantemente – perché adoro farlo, chi mi conosce sa quanto sia specializzato nell’aprire ovunque le danze o chiudere ad esempio i matrimoni a cui sono invitato con un tango con la mamma o la nonna della sposa – fino a che rimango solo in pista, sotto lo sguardo implorante del dee-jay che sembra chiedermi “bello, s’è fatto tardi, ma andarsene a casa?”. Poi però scatta il fatidico 21 Giugno, e com’è diventata ormai terribile consuetudine, gli impegni dell’età adulta e quei tre lavoretti che svolgo per mettere insieme uno stipendio mensile decente, m’inchiodano il primo week-end estivo in una città che ogni giorno detiene il record della più alta temperatura nazionale, che il venerdì alle 5 si svuota di facce italiche e si riempie di inchini giapponesi e infradito americane e che ti costringe a ricambiare le occhiate degli unici sfortunati rimasti con un’espressione di complicità che equivale a “mbeh, ce tocca!”. Anche il mio amore, professionalmente in possesso di qualche giorno di ferie in più di me, é partito per godersi un po’ di mare, pagando così lo scotto delle mie centinaia di telefonate e sms inutili del tipo “Che fai? Dove sei? Mi pensi?”, a cui temo finisca per rispondere prima o poi con un sonoro vaffa, mentre quei pochi premurosi amici ancora al lavoro si palleggiano la mia solitaria presenza e il mio muso lungo che non riescono a nascondere la voglia di essere altrove. Per farmi del male fino in fondo ho anche fatto l’errore di autoflagellarmi guardando su Facebook le foto dei miei contatti in costume, già abbronzati e naturalmente sorridenti sotto l’ombrellone, scegliendo come sottofondo il testo poco spensierato, per non dire struggente, della canzone che vi allego. Sgrunt. Ma sarà una bellissima estate. Tra poco. Ne sono convinto.