Note di Natale

▶ Band Aid 30 – Do They Know It’s Christmas? 2014 – YouTube.

Succede più o meno ogni anno, nel momento in cui la mia connaturata ed incontenibile attitudine all’estate riesce in qualche modo a scendere a patti con quell’idea sgradevole di dover necessariamente attraversare, quasi indenne, la fatica emotiva delle giornate autunnali per sentirsi, in parte, già proiettata verso la prossima stagione calda (con il consueto e inascoltato sottofondo di amici che si ostinano a sostenere “ma come, l’autunno è bellissimo, con i suoi colori poi, non ti piacciono?”. Ma quali colori, ditemi, che tutto è sempre e solo grigio?), che d’un tratto, puf, paiono moltiplicarsi, disseminate come lumache dopo la pioggia, sotto gli occhi ancora alquanto impreparati, tutte le avvisaglie del prossimo, temuto ma inevitabile, momento di repellente euforia collettiva, il Natale. Magari sei lì, al supermercato, che distrattamente fischietti quella vecchia canzone di Ligabue (così, per curiosità, è solo il mio supermercato che sembra trasmettere, 24 ore su 24, sempre e soltanto Ligabue?) con lo sguardo rapito dalle innumerevoli etichette sulle confezioni di capsule di caffé (che differenza ci sarà tra “arabian dream” e “smooth creamy bar”?) mentre ti esibisci in rischiosissimi zig – zag col carrello per evitare di investire la signora che d’improvviso ha inchiodato per prostrarsi dinanzi ai detersivi in offerta, e intanto lotti con la memoria per ricordarti quelle tre cretinate che avevi annotato su di una lista immancabilmente lasciata a casa, ed eccoli lì, affacciarsi splendenti dagli scaffali, i primi allineatissimi schieramenti di panettoni, inequivocabile minaccia che tra un mesetto circa metterà di nuovo a dura prova la tua linea già compromessa. Oppure ti stai godendo in tranquilla beatitudine la tua riprovevole sciatteria domestica, gironzolando indifferente a quello spaventoso caos regnante tra le pareti di casa, con tua madre al telefono che, come ogni sera, si informa, in ordine, della tua salute, dei cibi che hai mangiato e delle condizioni meteorologiche al momento, e poi inaspettatamente, esordisce con quella frase così tipica del periodo che più detesti e che d’ora in poi ti sentirai ripetere, allo sfinimento, fino al 24 Dicembre, “ma per Natale che hai deciso, sei a pranzo qui, vero?” (“ho forse alternative?” “certo che no!” “allora perché me lo chiedi?” “non te lo stavo chiedendo, te lo stavo ordinando!”).

E poi c’è la parentesi canzoni: perché niente riesce a catapultarti di più nel pieno della tradizionale, logorante e stucchevole atmosfera da cori e regali sotto l’albero, di un motivetto facile facile, meglio se dal ritmo allegro – andante e dal contenuto buonista sino alla nausea, prerogativa di tutte le hit confezionate ad hoc per le vacanze invernali e poi snobbate gran parte dell’anno, ma che almeno ogni Natale è buona norma o un’ottima scusa poter ritirar fuori per una veloce rispolveratina. Come la celeberrima Do they know it’s Christmas?, pezzo lanciato trent’anni fa esatti dalla Band Aid, i più famosi e idolatrati cantanti pop dell’epoca (George Michael, Sting, Paul Young) quasi tutti accomunati dal medesimo ciuffo ossigenato e riuniti, a scopo benefico, sotto l’egida di Bob Geldof, che, visibilmente invecchiato ma con le medesime e caratteristiche occhiaie di allora, ci riprova con una versione aggiornata 2014, registrata stavolta per raccogliere i fondi per la lotta all’ebola (video allegato). Certo, i capelli bicolore e il make – up esagerato di Boy George sono stati degnamente rimpiazzati dai look altrettanto vivaci e dagli shatush di cantanti come Rita Ora e Ellie Goulding, Duran Duran e Spandau Ballet hanno fatto largo agli attuali paladini delle adolescenti (One Direction, Ed Sheeran), tutti artisti che 30 anni fa ignoravano perfino il fatto che un giorno sarebbero venuti al mondo. Resiste però Bono Vox, sulla cui testa una sfumatura di mogano ricorda un po’ troppo la stessa tinta sfoggiata in tv dal nostro Paolo Limiti, affiancato da un’ineguagliabile Sinead O’ Connor, la dimostrazione vivente che per cantare bene (come lei e poche altre sanno fare) non occorrono gridolini o stantuffate vocali da troppi decibel. Rimane soprattutto quel clima da ennesima e quasi amichevole radunata tra celebrities dal presunto cuore d’oro ritrovatesi per annunciare anche quest’anno, urbi et orbi, l’imminenza di una festività da celebrare in pompa magna, meglio se piuttosto riconciliati con il resto dell’umanità. Ma sì, facciamo pure in modo che tutti, ovunque, sappiano che è quasi Natale. Anche chi, al momento, non vorrebbe proprio pensarci.

That’s amore!

▶ Everything But The Girl – Missing (Official) – YouTube.

La verità è che adesso non saprei davvero cosa dire. La verità, forse triste, se vogliamo un tantinello limitativa di certe pregorative, specie per chi si vanta con insistenza, come me, di lavorare con le parole, sistemandole in frasi non sempre di senso compiuto, è che in certi casi mi riscopro del tutto privo di fantasia. La verità è che per quanto stralunato, spesso astruso, talvolta non proprio ancorato a questo mondo, non riesco minimamente a inventare, a scrivere di qualcosa che non conosca, almeno in parte, in prima persona, a tradurre in testi situazioni senza alcun appiglio con la mia banale quanto sorprendente realtà quotidiana. La verità (e poi cambio incipit, lo prometto, perché questo avrebbe stufato anche me) è che avevo già pronto, perché confezionato con scrupoloso anticipo, un post di tono romantico (o quasi) da pubblicare a San Valentino, peraltro concluso in tempi brevissimi rispetto ai miei più che rilassati standard: ma ne era uscito un ritratto così intimo, anche se volutamente ironico, della mia vita di coppia, che in tutta sincerità non me la sono più sentita di affidare alla rete un simile racconto, perché mi è parso d’un tratto molto più importante condividerlo solo in due. Ed è successo che, come non avveniva da tempo, quelle parole intenzionalmente nate per una diversa divulgazione, che avrebbero forse strappato un sorriso a qualcuno di voi, si siano invece trasformate di colpo ai miei occhi in qualcosa di molto più prezioso delle mie inutili velleità di blogger fintosaputello fintosimpatico, assumendo da quel momento le sembianze uniche di un originale e fortunamente apprezzato regalo per la mia dolce metà. Eppure non abbiamo mai avuto negli anni la benché minima tentazione di scambiarci un pensiero o di festeggiare in altro modo il San Valentino: non che ci sia nulla di male nel farlo, sia chiaro, il fatto è che San Valentino è la festa di “tutti” gli innamorati, una data così spersonalizzante, generica, priva di quel gusto esclusivo di qualcosa avvertito come solo e soltanto nostro. Tra qualche giorno invece cadrà il nostro anniversario, il…esimo (e non specifico ulteriormente). Una cifra che in genere suscita negli altri commenti carichi di uno stupore prevedibile, che vanno dal “eh? impossibile!” al “ma siete matti?” e che comincia a fare un po’ impressione anche a me: soprattutto perché non mi sembra affatto trascorso tutto questo tempo.

Sì, certo, se guardo indietro, agli inizi della nostra storia, mi rendo conto che sia passata, per certi aspetti, un’era geologica: all’epoca io andavo in giro acconciato con una coda di cavallo in stile Fiorello prima maniera, mettevo solo camicie sgargianti, alla Formigoni, e in discoteca il brano più ballato era la canzone qui allegata (video) finita, inevitabilmente, per diventare anche la nostra canzone. Abitavamo lontani, e per non far lievitare le rispettive bollette telefoniche ci chiamavamo quasi sempre da cabine pubbliche (location oggi estinta), esaurendo schede su schede, perché la parola “cellulare” si usava solo per definire il furgoncino blindato dei Carabinieri. Oppure ci scrivevamo: né email né sms, naturalmente, ma lettere, centinaia, che conservo ancora oggi in una scatola, tutte maniacalmente divise per data, in cui ci raccontavamo nei dettagli ogni nostra giornata, nascondendo così, tra aneddoti e pessime battute, l’ansia di rivedersi presto. Era forse da allora che non scrivevo qualcosa solo per il mio amore: perché negli anni la crescente complicità, il vivere ormai da tempo sotto lo stesso tetto, il riuscire a capirsi al volo anche solo sgranando gli occhi o storcendo da un lato la bocca ne hanno a poco a poco smorzato la necessità per far spazio ad altre, ed altrettanto importanti, esigenze. Ed ero certo che sarei comunque ritornato a parlare della mia vita privata, perché il punto, alla fine, se vogliamo, è sempre lo stesso: come si fa a descrivere un sentimento universale prescindendo da ciò che si vive sulla propria pelle, come riuscire a dare la giusta voce ad un’emozione collettiva senza prima decifrare ciò che significa per noi stessi? Siamo sicuri che le diverse fasi di una storia, la semplice attrazione degli inizi, le note “farfalle nello stomaco” o i “batticuori” di un primo innamoramento, il crescente senso di responsabilità reciproco di una relazione che si consolida sulla conoscenza, la fiducia, la stima nell’altro, corrispondano alle stesse sensazioni per tutti? Non ho certo una simile presunzione, conosco bene però quello che nella testa e nel petto avverto come amore: quell’inspiegabile mix di accoglienza, serenità, completezza, sorpresa e soddisfazione che provo ancora oggi quando ci svegliamo insieme al mattino, Ed è ciò che auguro anche ad ognuno di voi, di provare, per questo San Valentino.